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Lezioni da una splendida piazza irachena

Daniele Ranieri

In Italia si gioca ad avere paura della terza guerra mondiale e ci si schiera contro un’invasione che non c’è. In Iraq i manifestanti sono uccisi a pistolettate dalle milizie di Suleimani e ne hanno anche per Trump

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Roma. Ieri pomeriggio quasi sotto le finestre del Foglio a Roma c’era un presidio contro la guerra. Un accrocchio di una trentina di persone venute in piazza Barberini perché venerdì scorso a Baghdad il generale iraniano Qassem Suleimani è stato ucciso da un drone americano e la cosa ha riempito i notiziari televisivi e ha fatto scattare il livello di guardia dell’opinione pubblica – che non scatta in altri casi. “L’attacco criminale dell’imperialismo Usa in Iraq”, diceva l’annuncio della manifestazione “contro la guerra” anche se la guerra di fatto non c’è. Veniva in mente quello che è successo nella primavera del 2017 e nella primavera 2018, quando l’Amministrazione Trump bombardò per meno di un’ora la Siria e molti credevano che stesse per invaderla. La crisi di questa settimana è rientrata perché l’America e l’Iran sono tornati sulle loro posizioni guardinghe che avevano prima. Anche questa volta nessuno pensava di scatenare una guerra di terra e un’invasione come in Iraq nel 2003 e anche questa volta la maggioranza dei commenti parlava soltanto di quello, come se fosse una possibilità imminente. E’ stato invece uno scontro basato sulla deterrenza – l’Iran doveva rispondere per salvare la faccia ma non poteva esagerare altrimenti l’America avrebbe risposto con la sua capacità superiore di infliggere danni. Si è chiuso tutto così in fretta che il presidio contro la guerra è arrivato in piazza con due giorni di ritardo.

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Roma. Ieri pomeriggio quasi sotto le finestre del Foglio a Roma c’era un presidio contro la guerra. Un accrocchio di una trentina di persone venute in piazza Barberini perché venerdì scorso a Baghdad il generale iraniano Qassem Suleimani è stato ucciso da un drone americano e la cosa ha riempito i notiziari televisivi e ha fatto scattare il livello di guardia dell’opinione pubblica – che non scatta in altri casi. “L’attacco criminale dell’imperialismo Usa in Iraq”, diceva l’annuncio della manifestazione “contro la guerra” anche se la guerra di fatto non c’è. Veniva in mente quello che è successo nella primavera del 2017 e nella primavera 2018, quando l’Amministrazione Trump bombardò per meno di un’ora la Siria e molti credevano che stesse per invaderla. La crisi di questa settimana è rientrata perché l’America e l’Iran sono tornati sulle loro posizioni guardinghe che avevano prima. Anche questa volta nessuno pensava di scatenare una guerra di terra e un’invasione come in Iraq nel 2003 e anche questa volta la maggioranza dei commenti parlava soltanto di quello, come se fosse una possibilità imminente. E’ stato invece uno scontro basato sulla deterrenza – l’Iran doveva rispondere per salvare la faccia ma non poteva esagerare altrimenti l’America avrebbe risposto con la sua capacità superiore di infliggere danni. Si è chiuso tutto così in fretta che il presidio contro la guerra è arrivato in piazza con due giorni di ritardo.

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Sempre ieri pomeriggio a tremila chilometri di distanza le piazze dell’Iraq dalla capitale Baghdad al sud del paese si sono riempite, riempite come mai si era visto prima, di manifestanti che protestavano contro le ingerenze straniere – sia quelle dell’Iran sia quelle americane. I manifestanti protestano dal primo giorno di ottobre e hanno le idee molto più chiare che in Italia, è come se le cose per loro fossero molto più nitide, con una comprensione allargata di tutti i fattori del gioco. Vedono le milizie create e pagate dagli iraniani colpire con razzi le basi irachene che ospitano i soldati americani, temono che l’Amministrazione Trump imponga sanzioni all’Iraq – ricordano le sanzioni contro Saddam, ne hanno orrore. Un giornalista che simpatizza con i manifestanti, Ahmed Abdul Samad, si è fatto un video mentre era in piazza a Bassora nel sud dominato dalle milizie iraniane create dal generale Suleimani.

 

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Dice: “Oggi ci sono stati arresti arbitrari. Come mai non ci sono arresti quando le proteste sono contro l’America? Lo sappiamo tutti no chi sono quelli del Terzo Partito?”. Terzo Partito è un eufemismo per indicare le milizie di Suleimani, che non sono il governo ma nemmeno la gente in piazza: sono appunto una terza entità. E poi rivolto agli iracheni che militano nei gruppi filoiraniani: “America e Iran non stanno per farsi la guerra. Vogliamo protestare come ci piace. Cantare quello che vogliamo cantare. Perché volete interferire? Noi siamo in piazza per il nostro paese, siete voi quelli senza un paese”. Poche ore dopo è stato ucciso a pistolettate. Si aggiunge a una lista di vittime della repressione brutale che in questi mesi ha fatto non meno di cinquecento morti e di cui il generale Suleimani era un regista poco occulto, senza che nessuno si scandalizzasse per la violazione della sovranità irachena.

 

Ieri il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha comunicato all’Amministrazione Trump che si aspetta di ricevere una delegazione per trattare i termini del ritiro delle truppe americane. Cinquemila soldati americani impegnati in operazioni contro lo Stato islamico in tutto il paese, decisamente pochi per il compito ma l’Iran li vuole fuori dall’area. Il dipartimento di stato ha risposto come se non avesse capito la richiesta e ha detto che è pronto a rimodulare gli accordi militari, economici e politici tra gli Stati Uniti e l’Iraq, che suona come una minaccia: se volete cacciare i soldati, prima parliamo di soldi e delle condizioni di favore che vi offrivamo in molti settori. Adesso ridiscuteremo tutto. Ma già queste cose rientrano nelle notizie che non eccitano i social, non c’è una terza guerra mondiale dietro l’angolo, sono di nuovo fatti mediorientali opachi. Fino alla prossima crisi imperialista.

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