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Corbyn pretende lealtà anche nella sua successione. Le tattiche dei candidati

Paola Peduzzi

Si apre la corsa dentro al Labour. Il favorito è Starmer, che si muove cauto. Le altre tre e la bizzarria della continuità

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Milano. Ad aprile Jeremy Corbyn non sarà più il leader del Labour inglese ma vuole dominare la campagna per la sua successione disseminando la corsa di test di lealtà. Lealtà non tanto a lui, quanto al suo progetto, convinto com’è che la direzione che ha preso il partito sotto la sua guida – molto a sinistra – sia da preservare e semmai da radicalizzare ancora di più, benché abbia perso le elezioni per due volte consecutive, nel 2017 (contro Theresa May, che non era una rivale imbattibile) e un mese fa, contro Boris Johnson. Per questo nel dibattito che si è aperto sulla successione si sente tanto parlare di continuità e poco di rottura con il passato: i corbyniani tengono gli occhi puntati addosso a tutti. E’ per questo che il favorito del momento, Keir Starmer, ministro ombra per la Brexit che è considerato più moderato di Corbyn e che era a favore del secondo referendum sulla Brexit prima della batosta elettorale di dicembre, “non vuole sterzare troppo” rispetto all’attuale leadership, come dice al Foglio Siôn Simon, che oggi è senior adviser presso la società di consulenza Flint Global ma fino all’anno scorso era europarlamentare laburista ed è stato per dieci anni a Westminster. “Buona parte del partito non vuole sentirsi dire che la sconfitta è arrivata perché le politiche proposte erano troppo radicali – dice Simon – E anche Starmer parla di aggiustamenti, ma senza esagerare, perché altrimenti si finisce nella parte destra del partito”, che non è larga e non è comoda. La continuità dopo un risultato elettorale storico per la sua bruttezza sembra una posizione bizzarra, ma è quella imposta dai corbyniani.

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Milano. Ad aprile Jeremy Corbyn non sarà più il leader del Labour inglese ma vuole dominare la campagna per la sua successione disseminando la corsa di test di lealtà. Lealtà non tanto a lui, quanto al suo progetto, convinto com’è che la direzione che ha preso il partito sotto la sua guida – molto a sinistra – sia da preservare e semmai da radicalizzare ancora di più, benché abbia perso le elezioni per due volte consecutive, nel 2017 (contro Theresa May, che non era una rivale imbattibile) e un mese fa, contro Boris Johnson. Per questo nel dibattito che si è aperto sulla successione si sente tanto parlare di continuità e poco di rottura con il passato: i corbyniani tengono gli occhi puntati addosso a tutti. E’ per questo che il favorito del momento, Keir Starmer, ministro ombra per la Brexit che è considerato più moderato di Corbyn e che era a favore del secondo referendum sulla Brexit prima della batosta elettorale di dicembre, “non vuole sterzare troppo” rispetto all’attuale leadership, come dice al Foglio Siôn Simon, che oggi è senior adviser presso la società di consulenza Flint Global ma fino all’anno scorso era europarlamentare laburista ed è stato per dieci anni a Westminster. “Buona parte del partito non vuole sentirsi dire che la sconfitta è arrivata perché le politiche proposte erano troppo radicali – dice Simon – E anche Starmer parla di aggiustamenti, ma senza esagerare, perché altrimenti si finisce nella parte destra del partito”, che non è larga e non è comoda. La continuità dopo un risultato elettorale storico per la sua bruttezza sembra una posizione bizzarra, ma è quella imposta dai corbyniani.

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Lunedì si saprà chi, tra i candidati, avrà ottenuto il sostegno di almeno 21 parlamentari laburisti, il primo scoglio da superare per essere in corsa. Starmer, che nei sondaggi di YouGov è molto più in alto rispetto agli altri, è sicuro di passare alla fase successiva, ha anche il sostegno di due sindacati che gli danno accesso alla terza fase, che si aprirà nella seconda metà di febbraio e che riguarda gli iscritti al partito che, se versano 25 sterline entro il 21 gennaio, avranno diritto di voto (postale) alle primarie. Il sostegno parlamentare minimo è garantito anche per altre tre candidate: Rebecca Long-Bailey, Jess Phillips e Lisa Nandy. La Long-Bailey è la favorita dei corbyniani, ha superato brillantemente il test di lealtà quando qualche giorno fa in tv, dovendo dare un voto alla performance di Corbyn, ha detto “10 su 10”, ma “le difetta l’empatia”, dice Simon, e soprattutto l’organizzazione. Dice che questa contesa le è piombata addosso e non era pronta, benché a novembre avesse girato un video che sapeva molto di voglia di leadership. Ha lanciato la sua candidatura al grido di “patriottismo progressista” ma quando ha visto che il messaggio non è stato recepito con entusiasmo non ne ha più parlato. Pensava di avere il sostegno del sindacato Unison che invece le ha preferito Starmer. I corbyniani puntano su di lei perché è la più controllabile, ma molti altri dicono che sia “troppo noiosa” o come ha riferito una fonte a Politico, “sentirla parlare è come stare a fissare l’oblò della lavatrice”.

 

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Lisa Nandy e Jess Phillips sono le outsider che Corbyn non vorrebbe mai: sono entrambe critiche nei suoi confronti e predicano la rottura con il passato, se il partito non sterza vigorosamente è destinato a stare all’opposizione afono per un decennio (secondo lo Spectator i Tory temono soprattutto la Phillips). La Nandy, che ha come mantra “andare tra la gente”, è molto forte online: alcuni suoi sostenitori hanno comprato domini del tipo “longbaileyforleader” che riportano a un sito della Nandy (lei ha preso le distanze da questi fan). Al primo incontro parlamentare di presentazione delle candidature, la Nandy è stata molto applaudita, più degli altri, ma deve ancora ottenere il sostegno di un sindacato o di circoscrizioni laburiste (ne servono 34) dove però il corbynismo è forte. La Phillips è considerata “il candidato di destra” perché è da sempre molto dura con Corbyn: anche nel partito laburista inglese vige la regola per cui se non sei pedissequamente con il leader non sei progressista a sufficienza, quindi stai con gli altri (ci dimentichiamo sempre che Corbyn vinceva premi come il deputato che più votava al contrario della linea del partito). La Phillips rischia di avere le stesse debolezze della Nandy nel creare il consenso necessario per arrivare alla terza fase, ma se dovesse farcela ha l’ambizione di costruire la stessa mobilitazione di Corbyn nel 2015, ma spinta dall’esigenza di creare una cesura con il recente passato.

 

La cautela di Starmer al momento sembra quella che paga di più. A riprova di questo tatticismo necessario, il ministro ombra per la Brexit ha reclutato come consiglieri alcuni corbyniani, in particolare Simon Fletcher che guidò la campagna per la leadership di Corbyn (ma anche quella di Ed Miliband e dell’ex sindaco di Londra Ken Livingstone). Molti pensano che Starmer stia ora assecondando la richiesta di lealtà per garantirsi il posto e poi guiderà il partito verso una trasformazione: per creare una rottura prima bisogna fingere che non sia così.

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