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La scelta dell'Europa

Oltre la trade war. Trump è contro Huawei anche per giuste ragioni di sicurezza

Eugenio Cau

L’America ha presentato nuove misure restrittive contro l’azienda cinese del 5G. Il calcolo è politico, non economico

Milano. Dall’inizio della sua Amministrazione, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha preso misure straordinarie per contenere la potenza della Cina. La guerra commerciale è cominciata più di un anno fa, e gli esperti danno ormai come un fatto inarrestabile la fine della forte interdipendenza tra le prime due economie del mondo. Molti riconoscono in queste politiche il tentativo malevolo della potenza egemone di schiacciare la potenza emergente, portato avanti da un’Amministrazione che si è già mostrata nemica del libero commercio e del multilateralismo. Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni che è tra i leader mondiali nella tecnologia 5G, è spesso usato come esempio del presunto accanimento americano.

 

La Casa Bianca da mesi porta avanti una campagna per convincere gli alleati europei a non adottare le tecnologie di Huawei, e ieri ha annunciato due provvedimenti che potrebbero compromettere le operazioni dell’azienda. Il più duro riguarda il divieto alle aziende americane di vendere tecnologia a Huawei senza autorizzazione del governo. Ecco, si dice, l’America vuole abbattere un concorrente cinese che ottiene grandi successi sul mercato. È probabile che ci sia una componente di protezionismo e concorrenza aggressiva nelle decisioni di Washington. Ma bisogna alzare lo sguardo per capire che tutti gli argomenti che si concentrano soltanto sul lato economico, commerciale o tecnologico della vicenda hanno una gigantesca fallacia –  e per capire perché, al netto della probabile eterogenesi dei fini, Trump sulla Cina ha ragione. La fallacia è questa: la Cina non è una democrazia, ma un regime. Non è un alleato, ma un “rivale sistemico” (copyright Unione europea, che pure sul tema sta cercando di chiarirsi le idee soltanto ora). Non è un’economia di mercato, ma un sistema dirigista che usa i progetti economici per estendere la sua influenza politica. E quest’influenza non è equivalente a quella che gli Stati Uniti esercitano sull’occidente: la Cina è un paese che, a oggi, detiene almeno un milione di persone di etnia uigura in campi di lavoro forzato (dati Onu).

  

Ma cosa c’entrano le aziende cinesi con le politiche del governo? Proprio perché la Cina è un regime comunista, il confine tra pubblico e privato è piuttosto labile. Huawei è un’azienda privata ma nessuna garanzia, nemmeno quelle esplicite fornite dal fondatore Ren Zhengfei, possono rassicurarci sul fatto che, di qui a dieci anni, il Partito comunista cinese non bussi alla sua porta con una lista di richieste. E cosa succederebbe in caso di guerra? Per questo gli Stati Uniti sono così preoccupati per la tecnologia 5G, che Huawei sviluppa in mezzo mondo: l’impatto del 5G non riguarderà soltanto le comunicazioni, ma anche l’approvvigionamento energetico di uno stato, la viabilità stradale e ferroviaria, gli eserciti. Al fondo, dunque, la disputa tra Stati Uniti e Cina non è commerciale, ma riguarda la sicurezza. E il calcolo dell’Amministrazione Trump è politico: conoscendo il divario labile che esiste tra il regime cinese e le aziende private, possiamo permetterci che sia una di esse ad avere un ruolo chiave nella gestione delle infrastrutture strategiche nostre e dei nostri alleati? Gli Stati Uniti hanno la loro risposta. L’Europa dovrebbe prendere una decisione.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.