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L'asse Egitto-Israele per il gas lascia aperta un'opportunità anche a Eni

Maurizio Stefanini

I liquefattori della compagnia italiana potrebbero diventare essenziali per la pipeline che unirà il Sinai allo stato ebraico

Israele vota in un momento in cui il gas sta cambiando la sua collocazione geopolitica, trasformando Gerusalemme in un fornitore di cui il mondo arabo non può fare a meno. E l'Italia sta assumendo un ruolo importante in questo nuovo scenario. Già diplomatico di carriera e ora direttore per le Relazioni internazionali di Snam, Ruggero Corrias ha spiegato questo nuovo contesto in “Dialoghi Mediterranei”, forum di geopolitica ed economia internazionale su strategie per energia, infrastrutture e agroalimentare che il think tank Il nodo di Gordio ha tenuto a Roma lo scorso 2 aprile presso il Senato.

 

Da una parte, da Trump a Bolsonaro, diversi governi occidentali stanno superando un annoso tabù diplomatico, spostando la sede della propria ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Dall'altra, la stessa Arabia Saudita ha ormai accettato Israele come alleato di fatto nel contenimento dell'Iran, la cui influenza deborda ormai dalla Siria allo Yemen. Ma il primo paese arabo ad aprire allo stato ebraico è stato l'Egitto. Corrias ricorda che il Cairo conta “100 milioni di abitanti e tra pochissimi anni ne avrà 150. Un tasso di natalità enorme che determina una esigenza di energia e anche di acqua, visto che la grande diga in costruzione nel Corno d'Africa ridurrà la portata del Nilo”. La disponibilità di energia è dunque importante per mantenere la stabilità in un paese che è essenziale per il controllo delle rotte dei migranti, e che potrebbe a sua volta riversare migranti a milioni sulle coste d'Europa.

 

Per fortuna, spiega Corrias, in questo momento nell'area “sono state scoperte e sono in via di essere scoperte risorse naturali e di gas naturale in quantitativi piuttosto ingenti”. Sono in particolare Tamar, il giacimento off shore da 223 miliardi di metri cubici a 80 chilometri a ovest di Haifa, che è stato scoperto nel gennaio del 2009 e ha iniziato a produrre dal 30 marzo 2013. E Leviathan, il giacimento off-shore da 500 miliardi di metri cubici a 131 chilometri a ovest di Haifa, che è stato scoperto nel dicembre del 2010 e che inizierà a produrre dalla fine di quest'anno. “Senza troppi riflettori puntati, attraverso i contratti firmati nelle coste israeliane, egiziane e cipriote sta prendendo gradualmente forma la direzione che va da Israele verso l’Egitto”. A trovare i giacimenti è stata infatti la texana Noble Energy, “e i texani per monetizzare la scoperta hanno messo gli occhi sull'Egitto, prevedendo che per i motivi esposti ci sarà lì una forte domanda”. Corrias ricorda dunque la presenza di due grossi liquefattori al momento vuoti: uno di questi è proprio dell'Eni.

 

Risalgono al tempo in cui era l'Egitto a esportare gas, attraverso una piccola pipeline che unisce il sud di Israele con il Sinai. “Ma adesso questo gasdotto è usato per portare da Israele in Egitto la prima tranche di gas”. Corrias sottolinea questo punto. “Vuol dire che un paese arabo, sia pure uno di quelli che aveva firmato trattati con Israele, sta iniziando di fatto a importare gas da Israele, quindi a legarsi a lui. Lo sta facendo anche in maniera attenta, dal punto di vista diplomatico. Consapevole della necessità che i paesi arabi e la regione possono avere per questo tipo di interscambio, l'Egitto decide di lanciare a gennaio una organizzazione regionale del gas”. Un Forum del Gas del Mediterraneo orientale in cui, per evitare di turbare certe sensibilità, il fatto puro e crudo della fornitura di gas israeliano all'Egitto è diluito all'interno di una struttura di cooperazione che ha sede al Cairo e di cui sono membri anche altri paesi.

 

Ma con Israele e Egitto, assieme a Grecia, Cipro, Giordania e Autorità nazionale palestinese, “anche il governo italiano viene invitato come paese fondatore. Qual è l’interesse? Innanzitutto – spiega Corrias – c’è la possibilità che una risorsa energetica in quell’angolo di mondo possa unire, invece che dividere. Come dicono gli americani: 'Oil is like dating. Gas is like getting married'. Il petrolio può fermarsi a un fidanzamento, con il gas bisogna sposarsi. Attraverso i gasdotti. L'altra cosa è che abbiamo grandi aziende nazionali. L’Eni è proprietaria di uno di questi due liquefattori che da 5 o 6 anni sono vuoti. La compagnia italiana ha pure scoperto in Egitto nel 2015 il giacimento di Zohr e nel 2018 un altro giacimento nel deserto occidentale”.

 

Secondo Corrias però, “anche Snam, occupandosi di infrastrutture, ne viene interessata. Se la direzione che verrà presa è quella che abbiamo appena citato, vi sarà l’esigenza probabilmente di costruire delle pipeline off shore che conducano questo gas dai giacimenti israeliani verso i liquefattori. Ma l’interesse nazionale potrebbe essere utilizzato ulteriormente in un altro modo, perché nel momento in cui il gas viene liquefatto entra nel mercato globale. Può andare in Asia, dove viene pagato di più. Ma dal punto di vista geografico il gassificatore più vicino è in Grecia, dove Snam a dicembre, dopo la privatizzazione, ha acquisito il controllo della Desfa, l'operatore nazionale di rete per il gas”.

 

La gran parte del gas che arriva in Italia lo fa attraverso i gasdotti, ma “ci sono anche i rigassificatori. Uno dell'Eni in Egitto vuoto, uno in Grecia, uno sull'Adriatico abbastanza pieno, due sul Tirreno con ancora capacità disponibile”. Insomma, Corrias ipotizza uno scenario in cui una parte di questo gas israeliano potrebbe essere portato in Italia via nave ai rigassificatori. In aggiunta alla Tap, che dall'anno prossimo porterà dal Mar Caspio 10 miliardi di metri cubi “sufficienti a 7 milioni di famiglie”.

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