Bancone di un pub Wetherspoon (Foto via Facebook)

Nei pub Wetherspoon è già Brexit, e delle peggiori: il menu è “no-deal”

Micol Flammini

L’esperimento di Tim Martin, un brexiteer di ferro, che vuole dimostrare che lasciare l'Ue conviene

Roma. Tim Martin possiede oltre novecento pub, dispersi qua e là per il Regno Unito. E’ un imprenditore e, da quando nel 1979 aprì il suo primo locale, di giorno in giorno si è fatto un po’ più ricco. Ha aperto un pub dietro l’altro fino a creare un vero gruppo, una catena di pub, la Wetherspoon. I suoi locali sono il suo regno e da fine gennaio sono anche il tempio dell’euroscetticismo. Lì dentro è già Brexit. Martin è un sostenitore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea; durante la campagna elettorale per il referendum produceva e distribuiva nei suoi pub bicchieri, sottobicchieri, magliette, spille, cappellini con la scritta “Leave”. Ha una rivista, Wetherspoon News, che viene distribuita in 400.000 mila copie, dalle cui colonne, lette soprattutto dai frequentatori dei suoi locali, descrive la bellezza di un futuro senza il peso di Bruxelles, libero dai vincoli degli europei. Convinto che “Leave means leave”, ha tramutato i suoi pub in un esperimento per dimostrare ai suoi connazionali che Brexit vuol dire Brexit e senza Europa possono vivere benissimo, anche nel caso di un’uscita senza accordo. Da fine gennaio ha preso i suoi menu e li ha rivoluzionati, via i vini, le birre e qualsiasi altro tipo di alcolico che venga da Parigi, Roma o Berlino. Nei pub del gruppo Wetherspoon si consumano esclusivamente prodotti o britannici o extraeuropei. Non esiste lo champagne, ma c’è un vinello frizzantino di provenienza australiana, non vengono serviti vini italiani né birre tedesche. Eccola la Brexit, e se gli europei, “i fanatici dell’Ue” come li definisce Martin, non vogliono concedere accordi, non importa, c’è un mondo fuori dall’isola che non assomiglia a Bruxelles.

 

 

A Londra intanto è stata la settimana dei ripensamenti: il Labour, che perde pezzi, ha detto che un secondo voto è possibile, aprendo alla possibilità di far tornare i britannici alle urne, anche se ancora non è ben chiaro quale potrebbe essere il quesito del referendum. Theresa May invece è tornata da Bruxelles aprendo alla possibilità di estendere l’articolo 50 oltre il 29 marzo qualora il Parlamento il 12 marzo non dovesse approvare l’accordo raggiunto. Tra partiti che nascono, indagini su parlamentari, parole scomposte, la politica britannica è sempre più confusa. Ma se il futuro del nuovo, possibile, referendum dovesse decidersi dentro ai pub di Tim Martin i dubbi sul domani europeo del Regno Unito sono pochi. Da quando è stata lanciata l’iniziativa, era il 27 gennaio, le rendite della catena sono aumentate, i clienti sono entusiasti. Tim Martin è un brexiteer convintissimo, nel suo magazine sostiene che sono gli europei ad avere bisogno degli inglesi e non il contrario, i suoi pub senza l’Europa ne dovrebbero essere la dimostrazione e vuole che la sua iniziativa sia da esempio.

 

Non sembra che gli europei siano decisi a venire incontro a Theresa May e a soccorrere ancora una volta i lavori caotici del Parlamento britannico, ci sono alcuni freni. Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno detto che accetteranno di procrastinare la Brexit soltanto se il Regno Unito darà motivazioni soddisfacenti. Mercoledì erano insieme all’Eliseo, hanno detto che la Brexit non è rinegoziabile. Se gli inglesi vogliono più tempo, che lo chiedano pure, ma la cancelliera e il presidente francese hanno precisato che a Bruxelles la richiesta potrà essere presa in considerazione, ma non necessariamente concessa. Anche se i britannici possono aver capito che hanno bisogno di altro tempo per pensarci un po’ su, non è detto che gli europei concederanno loro questo tempo, prezioso. E il no degli europei potrebbe essere determinato anche da una questione di tempo, il vero protagonista di questa Brexit. Se il ritardo sarà “breve”, come ha detto Theresa May, il Parlamento europeo non ha sedute a disposizione per cambiare l’accordo di recesso. Tra il 16 aprile e il 2 luglio i parlamentari non si incontreranno. Questo apre a un altro problema.

 

 

Ora che ha preso corpo l’idea di cambiare idea e fare un altro referendum, forse non c’è più tempo, e magari per i britannici non è nemmeno necessario. Nei pub di Martin è già Brexit, ed è delle peggiori, una “no-deal” Brexit, i britannici non bevono champagne, ma vino frizzante. Non trovano il Courvoisier, ma un alcolico australiano. E va bene così, gli incassi crescono. Non è una bella storia, ma nelle catene Wetherspoon è così che va.

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