Asia Bibi, incarcerata nel 2009 e assolta oggi

Dopo nove anni di calvario Asia Bibi è libera

Matteo Matzuzzi

La Corte Suprema del Pakistan ha assolto in via definitiva la madre di famiglia cattolica condannata a morte per blasfemia e in carcere dal 2009. Le frange più legate all'islam politico promettono di mettere a ferro e fuoco il paese

Roma. Asia Bibi è innocente e deve essere liberata “immediatamente”. Alle 9 del mattino ora di Islamabad (le 5 in Italia), il presidente della Corte Suprema del Pakistan, Mian Saqib Nisar, ha letto il verdetto di assoluzione da tutte le accuse (qui il verdetto completo in inglese). La decisione era stata presa dal collegio dei tre giudici già l’8 ottobre scorso, al termine dell’udienza che aveva fatto ben sperare la difesa della madre di famiglia cattolica condannata in due diversi gradi di giudizio per blasfemia e per questo in attesa della condanna a morte per impiccagione. I giudici, all’inizio del mese, avevano però deciso di riservare la pubblicazione del verdetto. Il clima nel paese, infatti, è rovente e anche nelle scorse ore le frange più legate all’islam politico locale – che non sono per nulla irrisorie quanto a seguito e rilevanza nell’opinione pubblica – hanno minacciato di mettere il Pakistan a ferro e fuoco e di riservare “una fine orribile” ai tre alti magistrati. Su Twitter, nelle settimane scorse, spopolavano gli hashtag che imploravano la pena capitale per Asia Bibi, con la disquisizione fomentata da alcuni islamisti radicali se fosse più opportuna l’impiccagione o la crocifissione. La sentenza odierna quantomeno garantisce la libertà alla donna, che con ogni probabilità – come peraltro già anticipato da tempo dai famigliari – lascerà il paese.

  

Una vicenda assurda che risale al 2009. Era giugno, Asia Bibi lavorava come bracciante e mandata a riempire un secchio d’acqua, ne bevve un sorso. Non poteva: per le colleghe era una infedele, aveva infettato l’acqua. Ne nacque un diverbio e secondo la testimonianza delle accusatrici, Asia Bibi avrebbe insultato il profeta Maometto. Il mullah del villaggio formalizzò l’accusa di blasfemia e da quel momento iniziò l’incubo. La prima condanna a morte le fu comminata un anno dopo, la seconda nel 2014. La difesa presentò immediatamente ricorso alla Corte Suprema, ma l’udienza fu rinviata per ben quattro anni. L’ultima volta nel 2016, quando uno dei giudici si rifiutò di giudicare nel merito.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.