Vladimir Putin e Yevgeny Prigozhin (foto archivio Cremlino)

Chi è lo chef di Putin, il signore di tutti gli affari sporchi del Cremlino

Micol Flammini

Si chiama Yevgeny Prigozhin. La sua storia inizia in un chiosco di panini pietroburghese e finisce nei pozzi di petrolio siriani. Nel mezzo, non più fornelli, ma troll ed eserciti

Roma. Questa storia inizia in un chiosco di panini pietroburghese e prosegue nei pozzi di petrolio siriani. O almeno questo è il percorso fatto dal protagonista della spy story russa scoperta dal Washington post: Yevgeny Prigozhin, conosciuto come lo chef di Putin. Ormai il suo ruolo all’interno del Cremlino non ha più nulla a che vedere con i fornelli, bensì con i troll e con gli eserciti.

 

Una volta uscito di galera, dove secondo il sito Meduza era finito con l’accusa di frode e sfruttamento della prostituzione, Prigozhin mise su un piccolo impero di bancarelle fino ad accumulare abbastanza denaro per aprire un vero ristorante, il New Island. Una costruzione galleggiante sulle acque della Neva ispirata ai battelli ristorante, che Prigozhin aveva visto navigare sulla Senna. Molto lusso e poca eleganza, l’idea però piacque a Vladimir Putin, che cominciò a organizzare nel locale cene e pranzi con i leader stranieri. Non sono chiari i tempi e i modi, ma il ristoratore divenne un fidatissimo del presidente.

 

Un potente oligarca il cui nome è stato inserito dall’Fbi nella lista dei 13 russi che avrebbero finanziato la Internet research agency di San Pietroburgo. Si tratta della fabbrica dei troll che durante la campagna elettorale americana del 2016 diffondeva sul web contenuti filorussi. Yevgeny Prigozhin ha negato ogni coinvolgimento, ma il suo nome non era nuovo alle autorità. Già nel 2014 era stato sanzionato per l’attività svolta in Ucraina. Non solo troll, falsi account e propaganda, l'oligarca è l’uomo che coordinerebbe le mosse dei cosiddetti omini verdi di Putin, i mercenari che la Russia invia nella zone di guerra. Avrebbe prima finanziato i separatisti nell’Ucraina orientale, poi avrebbe organizzato il suo esercito in Crimea e nelle province filorusse del Donbass ingaggiando gli uomini della compagnia Wagner, così chiamata dal nome di battaglia del fondatore. A questo punto la storia si sposta a Damasco, dove i mercenari impegnati nel conflitto siriano non sono altro che il braccio armato dell’altra compagnia che fa capo a Prigozhin, la Euro Polis.

 

A dicembre, Vladimir Putin aveva ordinato il ritiro di gran parte dell’esercito impegnato in medio oriente. A combattere a fianco delle truppe di Assad è però rimasta la Wagner. L’annuncio di Putin era una necessità elettorale, i russi infatti non amano questa guerra, secondo i sondaggi più del 40 per cento della popolazione è contrario. Ma Mosca non ha intenzione di lasciare Damasco e l’uso degli uomini della Wagner, veterani o nazionalisti volontari, rappresenta un buon compromesso. La morte di un mercenario può essere ignorata dal Cremlino e taciuta alla popolazione, ecco spiegata la logica di Putin. Così è stato fino al raid aereo del 7 febbraio quando gli Stati Uniti hanno bombardato delle milizie assadiste che stavano per attaccare una base delle Forze democratiche siriane a sud di Deir Ezzor. Il Pentagono aveva dichiarato che nel raid erano morte circa 100 persone, tra le quali alcuni russi, soldati della Wagner. Il ministero degli Esteri di Mosca ha confermato la notizia con molti giorni di ritardo, smentendo ogni legame con i mercenari. 

 

A Deir Ezzor si chiude, per ora, la storia di Yevgeny Prigozhin. Secondo l’inchiesta condotta dal Washington post, a ordinare l’operazione contro le Forze democratiche siriane sarebbe stato proprio l’ex proprietario dei piccoli chioschi lungo la Neva, l’oligarca a capo della Euro Polis. La società avrebbe un accordo con la Siria per proteggere i pozzi di petrolio e ottenere in cambio il 25 per cento dei proventi. La notizia è stata confermata anche da alcune dichiarazioni rilasciate dall’ambasciatore siriano a Mosca in un'intervista al sito russo The Bell. Prigozhin è il presidente di una Russia parallela. Dove non deve comparire Putin, c’è lo chef. Dove non deve combattere l’esercito, c’è la Wagner.