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L'Egitto inizia la formazione degli imam contro il terrorismo

Enrico Cicchetti

Al via i campi di formazione organizzati da al Azhar per diffondere i "veri" e moderati insegnamenti dell'islam e per combattere l'estremismo. Ma c’è anche chi è critico verso l’iniziativa

Dall'arresto, nel 2013, del presidente dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi, l'Egitto ha lanciato una feroce lotta all’estremismo. Da allora gli attacchi jihadisti nella penisola del Sinai e in altre parti del paese hanno preso di mira le forze di polizia e l’esercito. Ora Il Cairo sta organizzando campi di formazione intensivi per imam per rinnovare il discorso religioso, diffondere l’insegnamento moderato dell’islam e combattere le ideologie estremiste. I campi sono organizzati da al Azhar – tra le più prestigiose istituzioni dell’islam sunnita, sede principale dell’istruzione religiosa nel paese ma anche una sorta di partito trasversale alla società egiziana – in collaborazione con il ministero delle Dedicazioni religiose.

   

Secondo il ministro Mohamed Mokhtar Gomaa i campi dovranno formare gli imam per diffondere i "veri" e moderati insegnamenti dell'islam e per combattere il terrorismo e l'estremismo, legati a interpretazioni sbagliate della religione “instillate nelle menti della gente in quelle aree per decenni” e “spesso legate a elevati tassi di analfabetismo e povertà”, come ha dichiarato Amna Noseir – membro del parlamento e professore di studi islamici dell'Università di al Azhar – al quotidiano on-line Al Monitor. L’intervento coinvolgerà le aree di confine, tra cui Port Said, Ismailia e Suez, e i governatori meridionali, la regione del Delta e le città costiere.

     

Zone dove, secondo un rapporto del 2015 dell'Agenzia egiziana di statistica (Capmas), i tassi di analfabetismo sono ai massimi livelli: il 32,1 per cento dei residenti nel governatorato meridionale di Minya sono analfabeti, il 31,4 per cento nel governatorato di Sohag e il 29,6 per cento a Beni Suef. Un altro rapporto Capmas pubblicato nel 2015 ha dimostrato che circa il 56,8 per cento dei residenti nell'Alto Egitto non può soddisfare le proprie necessità di base. “Quelle aree hanno bisogno di un rinnovato discorso religioso che può eliminare le incomprensioni sugli insegnamenti islamici”, ha spiegato Noseir.

    

Nel 2015, al Azhar ha anche lanciato un osservatorio web per combattere il radicalismo e l'estremismo che opera in dieci lingue e contrasta sui social media la propaganda dei gruppi terroristici. Da quando ha lanciato "Ask al Azhar" in collaborazione con Youm7, uno dei siti web più noti in Egitto, l’al Azhar Fatwa Global Center ha ricevuto centinaia di richieste di chiarimenti online sulle fatwa – per semplificare, le leggi che regolano la liceità di un comportamento secondo la legge islamica, quindi delle sorte di pareri pro veritate. Ma c’è anche chi è critico verso l’iniziativa, come il giornalista Hussein al Qadi, che sostiene sia solo una mossa di propaganda di al Azhar “per mostrarsi attivo nella lotta al terrorismo senza dover rimuovere le tracce di estremismo al suo interno, ad esempio riguardo all’oppressione dei copti”.

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