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Editoriali

Prevenire la terza ondata si può

Redazione

Test, test, test. Il modello Alto Adige può insegnare all’Italia come riaprire

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Ora al controllo generale della popolazione per identificare i positivi al coronavirus ci pensa un paese piccolo ma non piccolissimo come l’Austria. Un po’ sarà per far sentire la continuità linguistica e culturale con l’italiano Alto Adige (dove un esperimento simile si è appena concluso e un esperimento di questo tipo è stato svolto anche a Liverpool) e un po’ per salvare la stagione dello sci, questione presa molto sul serio e perciò da non trattare con vuoto sarcasmo o con noioso benaltrismo. L’idea è quella di avviare screening di massa per fissare una specie di momento zero della diffusione del contagio da Sars-CoV-2. Perché con un test diffuso in modo quasi generale (in Alto Adige l’adesione era volontaria ma è stata altissima) e realizzato in un breve periodo di tempo si può conoscere lo stato di diffusione del virus e prendere decisioni informate sulle politiche pubbliche. Questo, ovviamente, non significa debellarne la diffusione con una (relativamente) semplice messa in quarantena dei positivi perché è noto che il contagio può proseguire anche sfuggendo ai test e perché dal mondo esterno rispetto al campione, anche se questo coincide con un intero paese, possono comunque arrivare nuove infezioni.

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Ora al controllo generale della popolazione per identificare i positivi al coronavirus ci pensa un paese piccolo ma non piccolissimo come l’Austria. Un po’ sarà per far sentire la continuità linguistica e culturale con l’italiano Alto Adige (dove un esperimento simile si è appena concluso e un esperimento di questo tipo è stato svolto anche a Liverpool) e un po’ per salvare la stagione dello sci, questione presa molto sul serio e perciò da non trattare con vuoto sarcasmo o con noioso benaltrismo. L’idea è quella di avviare screening di massa per fissare una specie di momento zero della diffusione del contagio da Sars-CoV-2. Perché con un test diffuso in modo quasi generale (in Alto Adige l’adesione era volontaria ma è stata altissima) e realizzato in un breve periodo di tempo si può conoscere lo stato di diffusione del virus e prendere decisioni informate sulle politiche pubbliche. Questo, ovviamente, non significa debellarne la diffusione con una (relativamente) semplice messa in quarantena dei positivi perché è noto che il contagio può proseguire anche sfuggendo ai test e perché dal mondo esterno rispetto al campione, anche se questo coincide con un intero paese, possono comunque arrivare nuove infezioni.

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Ma l’operazione di screening di massa consente di fissare gli obiettivi a partire da una data zero e di rendere certamente molto più accurate le rilevazioni successive. Il miglioramento della diagnostica sotto vari profili, affidabilità, rapidità e costo, rende l’operazione possibile, come mostrato, per prima, dalla Slovacchia, con uno sforzo che per un’intera seppur piccola nazione corrisponde a quello che nella prima ondata era richiesto per censire interamente un piccolo paese o una cittadina e con risultati molto incoraggianti: la curva dei contagi ha segnato una netta discontinuità rispetto alla fase precedente al monitoraggio di massa. Il momento zero al quale corrisponde la conoscenza esatta della diffusione del contagio diventa il punto di riferimento per le politiche successive e permette di tarare i programmi di assistenza sanitaria. In Alto Adige, dove è emerso un 1 per cento della popolazione affetto dal virus, e dove i flussi di persone in entrata e in uscita sono controllabili con una certa accuratezza, sono già arrivate richieste di allentamento dei limiti ai servizi e al commercio. Persi i mercatini, salviamo il Natale, dicono gli albergatori altoatesini.

 

Mentre chi lavora nei servizi di cura alla persona, a cominciare dagli estetisti, ha già bussato alla provincia autonoma per chiedere che si torni in attività “visti i risultati dello screening di massa”. Insomma, l’operazione è vista di buon grado perché fissa un minimo di chiarezza nel movimento imprevedibile della comunicazione e delle decisioni pubbliche sulla crisi sanitaria. L’Austria comincia il 5 dicembre, prima per zone non contigue e via via arrivando alla copertura dell’intera popolazione. La data è esplicitamente legata all’obiettivo di far andare in vacanza e a sciare. Ma anche in paesi più grandi e con maggiore intensità di flussi in entrata e in uscita, anche in questo periodo di lockdown più o meno diffusi, ci si sta avvicinando a forme di controllo di massa. La Germania fa più tamponi di tutti, ma l’Italia nei giorni feriali è ormai stabilmente intorno ai 250.000 quotidiani, ai quali si aggiungono i controlli con test meno affidabili ma in grado di dare un’indicazione attendibile almeno sulla negatività. E il patrimonio di test realizzati e conseguenti casi individuati comincia ad arricchirsi significativamente. Succede nel Lazio, ad esempio, e forse è uno degli ingredienti del buon risultato regionale.

 

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Ogni centomila abitanti nel Lazio nelle due settimane dal 23 ottobre al 5 novembre (le ultime per cui ci sono dati completi) sono stati testati 4.641 casi. E’ il dato maggiore in Italia, con il Piemonte al secondo posto ma staccato, a 3.464 casi testati, e la media nazionale a 2.641. La diffusione del virus in Italia, che sembrava sfuggita ai radar qualche settimana fa, sta gradualmente rientrando sotto controllo. E questo è il punto, perché, anche in realtà urbane complesse, al test diffuso si riesce a far seguire una forma accettabile di tracciamento, superando anche le inefficienze dell’app Immuni, e con un contributo importante da scuola e lavoro, perché le regole interne al mondo scolastico e a quello degli uffici pubblici e delle aziende impongono, con una loro cogenza specifica, l’osservanza delle quarantene con estensione anche ai famigliari dei positivi. Passa da queste buone pratiche il sentiero stretto per arrivare al traguardo di marzo e ai primi effetti della diffusione di vaccini e terapie con il motore dell’economia acceso, con le scuole aperte e con una vita sociale accettabile.

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