Editoriale
La firma di un populista è carta straccia
Londra si rimangia l’accordo Brexit con l’Ue. Il dilemma europeo
Nel bel mezzo dei negoziati sull’accordo di libero scambio con l’Ue – base per le relazioni future tra Bruxelles e Londra – il governo britannico ha presentato ai Comuni un progetto di legge che prevede di disapplicare una parte del “Brexit deal” firmato dal premier Johnson a ottobre 2019 e approvato dai Comuni a gennaio
Boris Johnson ha dimostrato che la parola e la firma di un premier populista sono carta straccia. Nel bel mezzo dei negoziati sull’accordo di libero scambio con l’Ue – base per le relazioni future tra Bruxelles e Londra – il suo governo ieri ha presentato ai Comuni un progetto di legge che prevede di disapplicare una parte del “Brexit deal” firmato dallo stesso Johnson a ottobre 2019 e ratificato dall’attuale Parlamento nel gennaio 2020. Paradossalmente, Boris vuole cancellare quella parte dell’accordo di divorzio che lui stesso aveva chiesto e ottenuto di modificare rispetto al “deal” di Theresa May: il Protocollo che costringe l’Irlanda del nord a seguire buona parte delle regole su aiuti di stato e dogane dell’Ue. La motivazione avanzata da Downing Street è comica: l’accordo Brexit, che nove mesi fa Johnson vendeva come “fantastic”, era stato negoziato “in fretta”.
Boris Johnson ha dimostrato che la parola e la firma di un premier populista sono carta straccia. Nel bel mezzo dei negoziati sull’accordo di libero scambio con l’Ue – base per le relazioni future tra Bruxelles e Londra – il suo governo ieri ha presentato ai Comuni un progetto di legge che prevede di disapplicare una parte del “Brexit deal” firmato dallo stesso Johnson a ottobre 2019 e ratificato dall’attuale Parlamento nel gennaio 2020. Paradossalmente, Boris vuole cancellare quella parte dell’accordo di divorzio che lui stesso aveva chiesto e ottenuto di modificare rispetto al “deal” di Theresa May: il Protocollo che costringe l’Irlanda del nord a seguire buona parte delle regole su aiuti di stato e dogane dell’Ue. La motivazione avanzata da Downing Street è comica: l’accordo Brexit, che nove mesi fa Johnson vendeva come “fantastic”, era stato negoziato “in fretta”.
Cosa ancora più grave: il governo britannico ha ammesso che si tratta di “una violazione del diritto internazionale”, mettendo in dubbio la credibilità internazionale del Regno Unito non solo con l’Ue ma anche con il resto del mondo. “Pacta sunt servanda”, ha risposto Ursula von der Leyen. Rischia di venir meno “la fiducia di cui abbiamo bisogno per costruire la nostra relazione futura”, ha avvertito Charles Michel. L’Ue ha convocato d’urgenza il comitato congiunto con il Regno Unito. Il capo negoziatore Michel Barnier, che è a Londra per i negoziati sulle relazioni future, vuole essere prudente: oggi chiederà spiegazioni al suo omologo David Frost. Gli ottimisti vogliono credere in una provocazione tattica di Johnson per strappare qualche concessione. I pessimisti ritengono che il premier abbia scelto il “no deal” per nascondere i suoi fallimenti sul Covid-19. L’Ue è di fronte a un dilemma: non vuole essere accusata di far deragliare i negoziati Brexit, ma forse è giunto il momento per Barnier di alzarsi dal tavolo e lasciare il Regno Unito al “no deal” di Johnson e a un futuro di dazi e isolamento.