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No, il Superbonus non "si ripaga da solo al 70 per cento". La retromarcia del Censis

Luciano Capone

"Questo lo dice il Censis", diceva Conte mostrando il cartello secondo cui ogni 100 euro spesi ne rientravano 70 di tasse. Ora il Censis si corregge: "Il gettito è il 38-43 per cento". Confondeva produzione e valore aggiunto, come fa ancora Nomisma

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Giuseppe Conte dovrà aggiornare il cartello, quello con cui si presentava in tv per mostrare che la spesa del Superbonus rientra per il 70% come gettito: “Dai dati Censis c’è un ritorno immediato: spendi 100 e ti ritorna 70”. “Questo lo dice il Censis”, variante del già noto “Questo lo dice lei!”, era diventato un mantra di Conte e dei suoi epigoni chiamati a venerare il Superbonus. Ma la cifra è così irreale che è stata di fatto smentita dallo stesso Censis in audizione alla Camera. 


Convocato dalla commissione Bilancio, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli effetti macroeconomici dei bonus edilizi, il Censis ha messo a verbale che per il Superbonus “si è potuto stimare un parziale recupero della spesa in un range che parte dal 38% del valore delle detrazioni fino a crescere al 43%”. Si tratta di molto meno, quasi la metà, del 70% che il Censis stimava in uno studio finanziato dai costruttori e pubblicato a novembre. “Il gettito fiscale derivante [dal Superbonus] inciderebbe per circa il 70% – scriveva il Censis – il che significherebbe che 100 euro di spesa costerebbero in modo effettivo allo stato 30 euro”. Le conclusioni di quel report che aveva riempito le prime pagine dei giornali all’insegna del Superbonus che “si ripaga al 70%” ora non ci sono più.


Che qualcosa non tornasse in quelle cifre, lo aveva rilevato sul Foglio del 22 novembre Leonzio Rizzo parlando di “stime eccessive”. L’economista, analizzando il “dato sorprendente” contenuto nel rapporto del Censis, indicava quale fosse probabilmente l’errore: l’aver cioè applicato un’aliquota del 38% di uno studio del Consiglio nazionale degli ingegneri (Cni) all’incremento della produzione anziché del valore aggiunto, che è quello che conta ai fini del pil e del gettito fiscale. Questo banale errore faceva applicare le imposte al fatturato attivato dal Superbonus nell’edilizia, che è circa il doppio del valore aggiunto, producendo così un gettito doppio rispetto alla realtà.

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Il Censis, dopo le osservazioni del prof. Rizzo (o di altri economisti), deve essersi reso conto dell’errore e non l’ha riproposto nel testo dell’audizione in commissione. I parlamentari che però aspettavano l’audizione del Censis per contrapporre i suoi numeri fantasmagorici a quelli più striminziti della Banca d’Italia e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio sull’impatto del Superbonus si sono accorti della discrepanza e hanno chiesto al Censis che fine avesse fatto quel 70%. Il Censis, un po’ in difficoltà, ha spiegato di non aver fatto alcuna stima sul gettito ma di aver solamente aggregato stime fatte da altri: “Il dato sul 70% l’abbiamo preso dallo studio del Consiglio nazionale degli ingegneri” ha detto il Censis, confermando i sospetti di Rizzo sul Foglio. Perché, a differenza del Censis, il Consiglio nazionale degli ingegneri ha correttamente applicato le imposte sul valore aggiunto e non sulla produzione. Nella sua audizione del 23 gennaio 2023 al Senato, il Cni ha infatti stimato su una spesa di 68,7 miliardi di Superbonus un gettito fiscale di circa 26 miliardi (pari al 38%, non al 70%).


Lo stesso tipo di confusione si presenta con i dati fantasmagorici di Nomisma, che parla di un impatto del Superbonus da 200 miliardi grazie a un moltiplicatore tra 2 e 3. Un dato completamente fuori scala rispetto alle stime di Bankitalia e dell'Upb che parlano di un moltiplicatore inferiore a 1. L’equivoco, non si sa quanto voluto o meno, sta sempre nella confusione tra il moltiplicatore della produzione e il moltiplicatore fiscale (che è quello che interessa per pil). Ma, come ha cercato di chiarire l’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica, ciò che interessa dell’impatto del Superbonus non è la produzione lorda (che include costi e consumi intermedi) bensì il valore aggiunto, che corrisponde appunto alla produzione al netto dei costi. Altrimenti si contano le stesse cose più volte, come nei cartelli di Conte.

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