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l'audizione

Visco espone pregi e difetti dell’Europa di fronte alle crisi bancarie

Mariarosaria Marchesano

Davanti alla commissione Finanze della Camera il governatore della Banca centrale ha detto che nel Vecchio continente non esistono gli stessi rischi rispetto a Stati Uniti e Svizzera. Ma sulla stretta dei tassi ha continuato a raccomandare prudenza

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Nei giorni scorsi è stato detto e ripetuto – lo ha fatto anche il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti – che le banche italiane ed europee sono al riparo dal rischio contagio grazie a regole di vigilanza più severe rispetto a paesi come Svizzera e  Stati Uniti. Vero, ma quello che non è stato detto è che in Europa manca uno strumento per affrontare le crisi bancarie in modo rapido e diretto come la Federal deposit insurance corporation (Fdic) –  agenzia indipendente sia dal governo che dalla Federal Reserve – ha fatto con la Silicon Valley Bank (Svb), grazie anche all’aiuto del Tesoro. 

 

Oggi il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha ricordato, nella sua audizione davanti alla commissione Finanze della Camera, che in Europa non esiste nulla del genere in questa fase di turbolenza dovuta alla stretta sui tassi sulla quale ha continuato a raccomandare “prudenza”. “Se noi avessimo una crisi con rischi che si cumulano nel tempo – ha affermato  – non avremmo uno strumento di intervento immediato”. Visco non ha mai citato il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) né tantomeno la nuova funzione di backstop che gli attribuisce la riforma, non ratificata dall’Italia, di contribuire a gestire le crisi bancarie nell’Eurozona, ma di fatto ha sottolineato il rischio per l’Eurosistema di non avere una sufficiente rete di protezione nonostante l’esistenza del Fondo di risoluzione unico. Tutt’altro è il discorso sulla vigilanza, spesso criticata per la sua invasività, ma che ha garantito la solidità degli istituti di credito. Insomma, vigilanza sulle banche (quindi le regole) e capacità di gestire le crisi (gli strumenti) sono due cose ben distinte e, semmai ce ne fosse stato bisogno, il governatore ha evidenziato la differenza rispondendo alle domande dei deputati. 

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Queste considerazioni sembrano andare nella direzione opposta alle dichiarazioni che la premier Giorgia Meloni ha rilasciato in mattinata, sempre alla Camera, in riferimento alla volontà del governo di non ratificare (al momento) la riforma del Mes. “Quando è fallita la banca della Silicon Valley, è intervenuta la Federal Reserve, nel caso di Credit Suisse  è intervenuta la banca centrale svizzera – ha detto Meloni –. Sono certa che anche quando fallisse una banca europea, la Bce farebbe la sua parte. Il Mes non è una banca ma la sua disponibilità è limitata e si troverebbe costretto a chiedere agli stati europei di rifondere il Mes stesso in caso di intervento. E’ uno strumento che non deve diventare un totem”. Peccato che la Bce non si occupi di gestire le crisi bancarie. La sua funzione principale è quella della politica monetaria, anche se, certamente, nel perseguire l’obiettivo della stabilità finanziaria (oltre a quella dei prezzi) ha a disposizione degli strumenti per fornire liquidità al sistema bancario nelle situazioni di emergenza. Ma non potrebbe mai la Bce, ovemai si presentasse in Europa un caso come quello delle banche californiane, intervenire e nel giro di un week end operare un salvataggio garantendo per giunta tutti i depositi, come ha fatto la Fdic americana.  

 

Potrebbe farlo è il Fondo di risoluzione unico, ma la sua dotazione finanziaria di 60 miliardi, alimentata dai contributi delle stesse banche, è limitata. Per questa ragione, gli stati europei hanno deciso di integrare le funzioni del Mes con quella di rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico. Per intenderci, il Mes riformato potrebbe potenziare la capacità di intervento del Fondo come il Tesoro Usa ha sostenuto la Fdic nel contenere gli effetti del crac di Svb e della crisi delle altre banche regionali alle quali sono stati concessi prestiti a tutto spiano (adesso si sta lavorando al salvataggio di un’altra banca, la First Repubblic, con l’intervento di Jp Morgan ma sempre con l’aiuto del governo americano).

 

Nel caso di Credit Suisse, infine, non c’è stata una risoluzione ma è sceso in campo il principale concorrente Ubs con una proposta d’acquisto e il ruolo della banca centrale svizzera è stato quello di garantire la liquidità necessaria all’operazione (si tratta, però, di linee di credito). Non è un caso – e lo ha ricordato anche Visco nell’audizione – che il compratore ha pagato 3 miliardi una banca che il giorno prima ne valeva 6 in borsa. E che il salvataggio è stato matematicamente possibile solo azzerando il valore delle obbligazioni subordinate sul mercato: 17 miliardi. “In Europa non l’avremmo mai passata liscia”, ha commentato Visco.

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