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il colloquio

L’uguaglianza arricchisce la democrazia. Chiacchierata con Ernesto Maria Ruffini

Giuseppe De Filippi

"Uguali per Costituzione" è l'ultimo libro del direttore dell'Agenzia delle entrate. Una riflessione su un principio costituzionale che, insieme alla libertà, definisce il progresso sociale 

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"L’uguaglianza è il metro con cui valutare una democrazia”, ci dice Ernesto Maria Ruffini parlando del suo “Uguali per Costituzione” (Feltrinelli) e subito qualche riflesso difensivo liberale si accende, almeno per chiedere di definire più in profondità il concetto di uguaglianza. Ma non c’è bisogno di fare le sentinelle liberali, basta guardare al testo e subito troviamo le parole con cui inquadrare, delimitare e nello stesso tempo rafforzare la portata dell’uguaglianza come strumento e come fine costituzionale. La definizione che mette tutto a posto, anche agli occhi di chi valuta come altrettanto importante l’affermazione della libertà e delle libertà, la troviamo proprio in apertura del testo. “L’uguaglianza – scrive Ruffini – è il diritto di ognuno di essere diverso da tutti gli altri e di non essere discriminato per la propria diversità”. Sono le prime righe dell’introduzione e aprono a un’analisi specialmente feconda dell’applicazione politica e sociale dell’uguaglianza e servono a rafforzare l’articolo 3 della Costituzione messo fuori dal testo, prima di tutto, come un’intestazione di questo saggio, seguito dall’introduzione firmata da Sergio Mattarella

 

Ruffini si porta dietro dagli anni dei primi studi la passione per la Costituzione e per il processo storico e politico con cui ha preso forma. “Ci fu allora una classe dirigente straordinaria, caratterizzata da un utilizzo attento delle parole e capace di attuare il principio di uguaglianza anche nel corso del dibattito costituente, attraverso il rispetto reciproco e il riconoscimento reciproco della funzione e del ruolo di ciascuno, perché ciascuno era portatore di una posizione e ci si confrontava anche in maniera accesa, ma mai con l’intento di far prevalere in modo brutale una posizione su un’altra e sempre con l’obiettivo di arrivare a un punto di equilibrio, a un intendimento comune, e questo modo di operare ha contrassegnato la straordinarietà di quella stagione”. 

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Il dibattito però avveniva anche sotto gli occhi del mondo, se non altro perché l’Italia non più fascista, grazie alla resistenza, ebbe la possibilità di scrivere liberamente la propria Costituzione repubblicana. Liberi sì, ma anche osservati speciali. “C’era il desiderio di lasciarsi alle spalle una pagina terribile della nostra storia e quindi di affermarsi in un modo nuovo sulla scena internazionale e anche di dare fiducia ai cittadini, una cosa che affascina di quel periodo è che gli elettori italiani sono andati a votare il 2 giugno del 1946 come un popolo di sudditi per ritrovarsi, poche ore dopo, come un popolo di cittadini. Noi ora forse non ci rendiamo più conto, perché fortunatamente lo diamo per scontato, di quanto possa condizionare la vita di ciascuno e il modo in cui si prendono le decisioni personali la differenza tra l’essere un suddito e un cittadino. Tutto questo fu portato da un gruppo di persone che avevano vissuto la loro vita come sudditi, abitanti di un regno e sotto una dittatura, o come esiliati e che in un modo mirabile riuscirono a mantenere, durante gli anni più bui, la capacità di formarsi come classe dirigente di un paese libero e democratico. Una cosa che mi ha commosso è la consapevolezza, in molti di loro, di star scrivendo regole per un paese in cui avrebbero vissuto solo una parte molto breve della loro vita e questo è il massimo della generosità”. 

 

Tutto benissimo, vero, ma è anche vero che l’uguaglianza, anche nel meraviglioso spirito dei costituenti, era cosa diversa per un comunista, un democristiano, un liberale, e alla fine, nel testo della Costituzione, ne viene fuori davvero una sintesi capace di migliorare tutti i punti di partenza. “Quel miracolo – ci dice Ruffini – nasce anche come risposta all’esperienza dei 20 anni precedenti. Il principio di uguaglianza traspare in tanti punti, non solo negli articoli che lo citano espressamente. Ad esempio, nel riconoscimento che ciascuno di noi può e deve concorrere al progresso materiale e spirituale della società, quindi l’uguaglianza è la valorizzazione delle differenze, perché proprio dalle differenze nasce la ricchezza e quindi il progresso, con la consapevolezza che, nell’interazione sociale, il risultato della combinazione dei vari contributi personali è maggiore di una semplice somma”.
Nel testo troviamo un continuo aggiornamento di questo modo di operare dell’algoritmo dell’uguaglianza, per usare un’espressione di moda, attraverso i vari interventi legislativi con cui, poggiando su principi costituzionali, è stato esteso il campo dei diritti ed è stata arricchita la partecipazione democratica all’attività pubblica. “Sì, perché il riconoscimento che ciascuno di noi nella sua individualità può dare comporta risultati che nessuno di noi, all’inizio della partita, poteva immaginare. Perciò sono così importanti il riconoscimento e la tutela della diversità nella nostra Costituzione e in qualunque democrazia sana”. 

 

E negli anni in Italia dalla Costituzione sono derivate leggi che hanno garantito diritti per i cittadini e per le loro associazioni e maggiore operatività delle istituzioni, o almeno, c’è stato il tentativo di farlo e certamente il modo in cui è definita l’uguaglianza ha creato la coscienza politica con cui si chiedono regole anche per i partiti. “E’ ancora straordinario che uomini e donne che non avevano vissuto la vita dei partiti e l’articolazione chiara in partiti dell’opinione pubblica siano stati in grado di riconoscerne la necessità per la vita di un paese, con quella perfetta definizione in cui si stabilisce il metodo democratico come regola di funzionamento di tutte le articolazioni della politica di parte e questo è un punto forte a favore dell’uguaglianza delle posizioni all’interno dei partiti, con la tutela delle minoranze”. 

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Ruffini racconta come dal primo gennaio del 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione, il principio di uguaglianza comincia a erodere le fondamenta di un diritto ereditato dalle stagioni precedenti e come la formulazione dei costituenti sia capace di reggere al passaggio del tempo, continuando a produrre cambiamenti e a travolgere impianti legislativi. Un caso chiaro è lo sviluppo del diritto di famiglia. “L’attribuzione della parità di ruolo tra i coniugi è del 1975, quasi trent’anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, e sempre con quella riforma si dà la prima definizione della parità di diritti anche tra i figli. Ma bisogna arrivare al 2012 perché ci sia l’equiparazione piena di tutti i figli e l’eliminazione delle locuzioni di figlio naturale e di figlio legittimo. E nel libro accenno anche alle novità, queste davvero recentissime, sulla trasmissione dei cognomi. Ma c’è voluta una dichiarazione di incostituzionalità, ad esempio, per superare la norma che impediva alle donne di partecipare a certi concorsi pubblici. Cose che sono avvenute anche grazie a singole persone che, fuori dal Parlamento e dalla vita politica organizzata, hanno fatto proprie battaglie di uguaglianza. Come per la fine del matrimonio riparatore, è stata la forza del principio di uguaglianza in Costituzione a dare il sostegno alla determinazione di Franca Viola, con la sua straordinaria testimonianza di coraggio e di capacità di esercitare influenza sul dibattito politico, quasi guidando le istituzioni verso l’abrogazione di quell’orrenda norma. E lo stesso può dirsi per la grande trasformazione della psichiatria italiana realizzata da Franco Basaglia. Ma anche nel suo caso, mentre il principio di uguaglianza faceva il suo lavoro, serviva l’impegno delle persone per attuarlo. Ed è significativo della fatica necessaria che l’ultimo ospedale psichiatrico italiano a essere chiuso e trasformato sia stato quello di Barcellona Pozzo di Gotto nel 2015”. 

 

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Insomma, nello sviluppo storico italiano ha avuto più peso, per essere un po’ grezzi nelle definizioni, la spinta verso l’uguaglianza del desiderio di libertà? “Potremmo dire che la libertà è stata il motore, ma il principio di uguaglianza è stato il terreno su cui misurare e concretizzare i progressi nel campo dei diritti. Ma il vantaggio dell’uguaglianza è nella sua operatività giuridica. E’ molto indicativo, per capire come libertà e uguaglianza lavorino, per così dire, insieme, il caso della scelta fatta nel trattamento delle confessioni religiose. Non si è detto che sono uguali, ma che sono ugualmente libere. Nell’ambito laico significa che bisogna avere la consapevolezza della responsabilità che ciascuno di noi ha nel tutelare la propria individualità e nell’apportare al progresso della società la propria differenza, e questo è il miglior modo per rendere onore all’uguaglianza. Le opinioni sono tutte libere e, di più, devono esserlo, ed è, invece, tassativo e non derogabile, l’elenco di ciò che non è ammesso come esercizio del diritto di opinione, come l’apologia di fascismo, il negazionismo, l’antisemitismo, il razzismo”. 
 

Dove vede spazio per ulteriori progressi di questa collaborazione tra libertà e uguaglianza? “Certamente nel diritto di famiglia, anche sulla spinta delle nuove generazioni. E, per toccare un aspetto su cui forse c’è meno consenso immediato, anche nella vita interna dei partiti, perché il legislatore costituente cercò di mantenere una distanza necessaria, scrivendo all’indomani di un periodo in cui i partiti, anzi il partito, era stato teleguidato dalla dittatura. Però l’importanza di garantire la vita democratica all’interno di un partito in modo che ai cittadini sia offerta la consapevolezza di poter raggiungere le istituzioni e contribuire al dibattito democratico attraverso i partiti. Dovrebbe esserci più studio e più discussione per capire come far funzionare meglio il diaframma tra cittadini e istituzioni”. Ruffini ha letto anche il tema della libertà d’impresa alla luce del principio di uguaglianza, nel saggio si dà conto dello sviluppo dell’informazione e dell’editoria in Italia anche in base alle note sentenze e leggi su radio e tv, perché l’obiettivo da tutelare era la garanzia della pluralità dell’informazione e lì, in quella ricchezza di voci, stava l’applicazione dell’uguaglianza, con la possibilità di non imporre una posizione dominante per consentire ai cittadini di essere informati”.

 

La parte sul fisco è ovviamente molto interessante, con un racconto approfondito di riforme, va detto, tutte mezze fallite o realizzate solo parzialmente e con poca aderenza rispetto all’intento originario. Ma progressi innegabilmente ci sono stati. “L’uguaglianza nel rapporto con il fisco è innanzitutto – ci dice Ruffini – nel riconoscimento del dovere di tutti di contribuire alla casa comune. Ma tratto l’uguaglianza, nel capitolo sul fisco, anche sotto un altro profilo, ovvero nel dovere del legislatore di essere chiaro, perché la confusione legislativa e la stratificazione normativa, il labirinto di leggi, oltre a creare sbandamenti e favorire, di fatto, l’evasione, sono anche un’espressione di qualcosa di opposto all’uguaglianza, perché un sistema complesso consente solo a chi ne ha la possibilità di farsi assistere nella traduzione di un linguaggio e di meccanismi per iniziati, creando così disuguaglianze. Mentre il fisco è alla base del patto democratico. Serve più informazione e più facile accesso ai dati, perché quando rinuncio a parte del mio reddito devo sapere perché lo sto facendo”. 

 

Le vicende dei migranti mostrano che il principio di uguaglianza ha ancora molti spazi di applicazione. “Capisco bene il lavoro che la politica deve fare su questo tema, anche perché solo per renderci conto, come società italiana, dell’esistenza del fenomeno migratorio abbiamo impiegato anni. Ma c’è un episodio degli anni Ottanta che può illustrare il modo di operare del principio di uguaglianza, ancora una volta grazie all’impegno di una persona coraggiosa che si fa classe dirigente. E’ il caso, tragico, di Jerry Masslo, fuggito dall’Apartheid sudafricano e richiedente asilo in Italia. Ma, con le norme dell’epoca, non era riconosciuta la sua condizione come sufficiente per l’accoglienza. E fu la sua lunga battaglia legale, con sempre l’uguaglianza come base costituzionale, a portare a rivedere le regole sull’immigrazione”.
 

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