Il consesso degli idioti di Joshua Reynolds 

l'editoriale dell'elefantino

I libberalisti esagitati della scienza triste che smanacciano sui social

Giuliano Ferrara

Tipacci ferventi e scoglionati alla Michele Boldrin hanno fatto due proseliti due e li hanno chiusi in una setta americaneggiante. Ma non hanno il minimo senso della relazione tra lo stato di diritto, la legislazione economica e il corpo della nazione

C’è il liberista e c’è il libberalista esagitato, esaltato. Il primo maneggia la cultura e ha un’idea di mondo, il secondo la smanaccia sui social e non ha la minima idea di cosa siano la società, la storia. Mio nonno Mario diceva che bisogna dare un matto ai liberali, e aveva ragione, come si è visto nella storia italiana, come si è visto con Berlusconi nella sua epoca aurea, come si vede con Calenda che se non si fa iniezioni di mattocchieria e rapidamente finirà per sembrare un professore che si prende sul serio, Calenda sul serio, ma il nonno non poteva prevedere che si esagerasse tanto e che accademici buzzurri si facessero un punto d’onore di equiparare individualismo e regole libertarie da Reggio Calabria a Francoforte. La malattia di tipacci ferventi e scoglionati alla Michele Boldrin, il tiktoker col sandalo californiano esperto in insulsaggini e insulti accademici, è il pedagogismo, il cenacolo dei sicuri di sé, una variante economicista dell’azionismo di minoranza, l’accolita che odia l’italiano che è in loro, il famoso nemico delle vongole. 

Hanno fatto due proseliti due, li hanno chiusi in una setta americaneggiante, e il risultato è che non capiscono Caserta, non si districano nella logistica padana, non hanno il minimo senso della relazione tra lo stato di diritto, la legislazione economica, e il corpo della nazione, compreso il suo disinvolto rapporto con la signora Finanza: scopano, ma a modo loro. E questi guardoni dell’accademia neolibberalista ubriaca spiegano incessantemente le regole del sesso a chi lo esercita, dall’alto del loro solipsismo.

L’individuo, la disciplina, la libertà, l’emulazione, la competizione e la concorrenza sono cose serie, non sono la fessa in mano alle creature. Pensate ai Draghi, al maestro Caffè, ai Modigliani, agli Alesina e ai Giavazzi: si sono variamente intricati con le agende, i programmi, il da farsi e il da pensarsi, non si sono mai limitati, nei loro immensi pregi e nei loro difetti, al dover essere. Il dover essere, il pomposo Sollen dei libberalisti esagitati, è un B movie, una sceneggiatura che avvilisce gli spettatori, non c’entra con Hayek e con Friedman, trasmette a platee inconsapevoli l’emozione di sentirsi superiori al pragmatismo, al senso della storia, alle tecniche da colpo di stato permanente con cui si fa politica in America e in Europa, dappertutto. C’è una bella differenza tra il whatever it takes, con il suo coraggioso senso del possibile, e il Tik Tok della scienza infusa che si propaga in un delirante balletto di idee adolescenti. La politica come concorso per manager, bum.

Mille volte meglio l’avvocato del popolo che a forza di pasticci trasformisti ci ha rifatto le facciate (non a me che la facciata l’ho persa per fortuna fin da piccino), che ci ha procurato con la pandemia soldi europei che forse non sapremo spendere, mille volte meglio il democristiano Fitto e il governo dei fascio-liberali che ci prova, e conosce l’uso della retromarcia, mille volte meglio la Ducia arrogante e gentile e la nipotina di Agostino Viviani di questi filosofi individualisti che tranciano e mandano e tronfieggiano adoperando due ideuzze sulle regole e la contabilità minore, le cifre senza risvolto storico, i salvifici numeri della scienza triste.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.