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Superbonus e Minibot. La surreale parabola dei crediti fiscali

Luciano Capone

Il paradosso della moneta fiscale: proposta dalla Lega per uscire dall'euro, realizzata dal Pd con la cedibilità dei crediti d'imposta; abolita da Giorgetti e Meloni che incolpano la sinistra di aver realizzato le idee della destra. Non è politica, ma commedia

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L’Italia è un paese strano, dove si presta molta attenzione alle chiacchiere più che alla sostanza, dove si guarda più a cosa dicono i partiti che alle cose concrete che fanno. E per questa ragione la politica, molto spesso, si trasforma in una sorta di commedia all’italiana con ribaltamenti dei ruoli stranianti e quasi comici. La parabola del Superbonus 110 per cento, con la sua cedibilità illimitata dei crediti fiscali, benché grave per i conti pubblici, è una di questi casi per niente seri.

 

Per capire l’ampiezza di questo détournement politico bisogna andare indietro di qualche anno. È il 28 maggio del 2019 quando il ministro dell’Economia Giovanni Tria sobbalza dalla sua sedia in via XX Settembre: sul suo schermo vede impennarsi lo spread, che si avvicina ai 300 punti, con dinamiche analoghe a quelle dell’inizio del governo Conte I per le singolari idee sull’Eurexit di quella maggioranza tra M5s e Lega. “Che cos’è successo?!”, chiede allarmato ai collaboratori. Si cerca qualche dichiarazione incendiaria contro l’Europa e La Bce, di quelle che andavano di moda all’epoca. Ma la realtà è più preoccupante: la Camera ha votato all’unanimità una mozione in cui si ipotizza di usare per “la compensazione tra crediti e debiti della pubblica amministrazione… anche strumenti quali titoli di stato di piccolo taglio”. I minibot.

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Si tratta della trovata dei guru No euro della Lega, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, che viene presentata come una soluzione per pagare i debiti della Pa nei confronti delle imprese, ma che in realtà è una moneta parallela: il primo passo verso l’uscita dall’euro. La situazine è preoccupante, perché il povero Tria sembra l’unico a tenere in piedi la baracca: il premier Giuseppe Conte è di fatto il vice dei suoi due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che sono favorevoli alla soluzione; la parte più ragionevole della Lega, ovvero Giancarlo Giorgetti, dice che i minibot sono “una soluzione” possibile; anche il Pd, che è all’opposizione, vota a favore anche se per errore. Il segnale è terribile.

 

Deve intervenire il presidente della Bce Mario Draghi per dire che i minibot “o sono moneta, e quindi illegali, o sono debito”. Tria si affretta ad escludere ogni ipotesi di minibot: “Sarebbe illegale o inutile”. E si becca gli attacchi di Giorgia Meloni, che è all’opposizione: “Come fa un ministro dell’Economia ad essere contrario all’emissione di titoli di Stato che non fanno nuovo debito e servono a dare un po’ di respiro all'economia reale?”. Alla fine il mite Tria, solo e senza truppe parlamentari, con calma e tenacia riesce a spuntarla: niente minibot.

 

Il paradosso di questa vicenda è che quanto di più simile ai minibot e a una moneta fiscale viene introdotto nel 2020, con il Pd al governo e un dem al ministero dell’Economia. In mezzo ci sono il Papeete e la fine dei discorsi sull’Eurexit, una maggioranza europeista che sostiene Ursula von der Leyen e in più l’attenzione europea e tutta rivolta alla pandemia e come contrastarla. Così, con il dl Rilancio, che introduce il Superbonus 110% viene introdotta la cessione illimitata dei crediti d’imposta: l’effetto combinato delle due misure è una produzione enorme di crediti fiscali, utilizzabili per pagare nel tempo le tasse o trasferibili liberamente sul mercato. Con l’obiettivo di rifare “gratuitamente” le case degli italiani: un enorme trasferimento di ricchezza dallo stato ai patrimoni dei più ricchi. Una sorta di patrimoniale inversa.

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Nessuno se ne accorge né si preoccupa degli effetti contabili. Anche perché, a differenza delle normali emissioni di debito, il deficit prodotto da questa moneta fiscale viene spalmato su più anni. La cosa ancora più surreale di questa vicenda è che poi arriva al governo l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, che cerca di chiudere i rubinetti della spesa e fermare la circolazione dei crediti di imposta. Ma non ci riesce del tutto. La moneta fiscale viene bloccata dal governo Meloni e, soprattutto, da un ministro dell’Economia della Lega: il partito che spaventava l’Europa con i minibot è quello che li ha aboliti.

 

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E in questo ribaltamento dei ruoli, il governo accusa giustamente la sinistra di aver fatto ciò che loro, la destra, proponevano di fare: “Hanno praticamente generato una sorta di moneta parallela e quella moneta parallela rischia di impattare sui bilanci pubblici in modo devastante”, dice Giorgia Meloni. E Giorgetti, che con una retorica quasi corbyniana accusa la sinistra e il M5s di aver dato tantissimo (120 miliardi) a “pochi” anziché ai “molti”, avvisa tutti che queste soluzioni creative sono pericolose per la finanza pubblica: “È passato nell’immaginario collettivo l’idea che il credito d’imposta sia sostanzialmente moneta. Questo non è – disse il ministro dell’Economia a novembre –. Il sistema non può continuare così, non è sostenibile per la finanza pubblica”. E i No euro Borghi e Bagnai approvano. Il Superbonus è finito, ma la commedia continua.

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