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Riformismo dimezzato

Al sud serve più disciplina se vuole sfruttare l’occasione del Pnrr

Marco Leonardi

Gli 82 miliardi dell'Europa offrono la possibilità di riaprire una stagione di investimenti pubblici e di invertire il trend del mezzogiorno, che ha visto perdere dipendenti nella sua Pubblica amministrazione e con essi la capacità amministrativa. Anche se ci vorrebbero più tecnici

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Nel mezzogiorno il settore pubblico svolge un ruolo nettamente più importante rispetto al resto d’Italia, non solo sul piano quantitativo ma anche come fonte di lavoro di qualità medio-alta. Come documentato in modo eccellente dal rapporto di Banca d’Italia sui divari territoriali, le recenti difficoltà del sud hanno origine dalla crisi del 2008, cui è seguito un lungo periodo di tagli agli investimenti pubblici che in precedenza avevano sostenuto la convergenza tra sud e nord. Il drastico ridimensionamento dei trasferimenti ha coinvolto anche le amministrazioni locali: non solo il sud ha perso occupazione e pil relativamente al nord dal 2008 in poi, ma la sua Pubblica amministrazione ha perso dipendenti pubblici e con essi la capacità amministrativa.

 

Ora il Pnrr offre la possibilità di riaprire una stagione di investimenti pubblici e di invertire il trend. Si può stimare che il Pnrr metta a disposizione delle regioni meridionali circa 82 miliardi. Considerando inoltre i 54 miliardi dei fondi di coesione europei del ciclo di programmazione 2021-27, i 24 miliardi del ciclo precedente non ancora spesi e i 58 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione, le risorse aggiuntive sono imponenti: più di 200 miliardi, circa il 6 per cento del pil del Mezzogiorno ogni anno fino al 2030. Ovviamente dipende da quanto si riuscirà a spendere: dei fondi ordinari (Fse, Fsc) tradizionalmente si spende poco e la speranza è che le regole vincolanti dei fondi Pnrr ci costringano a spendere almeno quelli. Il Pnrr come noto ha dei vincoli di risultato molto più cogenti degli altri fondi: ogni 6 mesi la Commissione verifica il rispetto degli impegni e altrimenti non paga.

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Il tema è quello della capacità amministrativa dei comuni del sud prima di fare i progetti e poi di attuarli. Per questo, ogni sforzo è stato fatto – e altro se ne può ancora fare – per sostenerli nelle assunzioni di nuovo personale e di assistenza tecnica. Se però non c’è la volontà politica del governo che promuove il piano e dei comuni che lo attuano non c’è risorsa finanziaria o assistenza tecnica che tengano. Prendiamo il caso degli asili nido che sono attualmente un servizio assai raro nel Mezzogiorno nonostante siano molto importanti per incentivare il lavoro femminile. Il piano ha riservato 4,6 miliardi per nuovi asili nido (0-3 anni) e scuole dell’infanzia (3-5 anni). Dovrebbero essere costruiti più di 2000 nuovi asili nido e scuole materne per garantire complessivamente più di 250 mila nuovi posti per i bambini entro la fine del 2025. I ritardi hanno iniziato a essere evidenti già nella fase di partecipazione ai bandi da parte dei comuni: ce ne sono voluti addirittura quattro per assegnare tutti i soldi, perché al termine delle prime tre scadenze era stata assegnata soltanto una parte dei fondi. L’impegno era allocare il 50 per cento dei fondi ai comuni del Sud, che non facevano abbastanza domande. Per gli ultimi milioni è servito un quarto bando dedicato esplicitamente ai comuni del meridione. 

 

Adesso tocca a loro fare le gare per l’affidamento dei lavori. Il vincolo del Pnrr vorrebbe tutti i cantieri aperti per fine giugno. In tempi normali, la durata media della fase di affidamento, cioè dalla pubblicazione delle gare di appalto all’aggiudicazione dei lavori, varia da 6 a 12 mesi per le opere più complesse. Tempi che sono più lunghi di circa il 40 per cento nelle regioni del sud. Qui viene il punto: è chiaro che servirebbero più tecnici, architetti, ingegneri e geometri: nonostante i soldi messi a disposizione per assumerli, molti comuni non sono ancora riusciti a pubblicare i bandi. Bisogna aiutarli di più ma ha fatto bene il governo (Draghi) a insistere e a stare con il fiato sul collo ai comuni affinché si rispettassero le scadenze del Pnrr. In altre parole, le difficoltà sono note ma l’unico modo per sfruttare l’occasione del Pnrr è una maggiore disciplina nelle procedure di spesa. Se adesso manca la volontà politica a monte, è chiaro che i comuni non faranno i lavori o non faranno in tempo. Dalla pubblicazione del decreto, la governance del Pnrr è totalmente accentrata a Palazzo Chigi e il ministro è un ministro del sud. Non ci sono più dubbi su chi comanda, ma c’è ancora il dubbio se il governo intenda continuare con la faticosa e a volte impopolare attività di attuazione del Pnrr oppure voglia togliere ogni vincolo di risultato al piano, spostando i progetti sulla programmazione ordinaria su cui notoriamente si spende poco e con un ritardo infinito.

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