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contro la ratifica

L'appello di sinistra contro il Mes e il ritorno del "diciottismo"

Luciano Capone

Su Micromega una trentina di economisti della sinistra radicale incoraggiano il governo a non ratificare il Mes. Si rivede lo spirito rossobruno e anti europeista che nel 2018 animò il Conte gialloverde. A Meloni conviene starne alla larga

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Il paese torna a essere attraversto da spifferi di “diciottismo”, quella tempesta di rivolta anti establishment e di populismo anti europeista che nel 2018 ha caratterizzato la sinistra radicale e la destra sovranista, portando al successo del M5s e della Lega e quindi al governo Conte. Gli echi di quella stagione che stava portando l’Italia a schiantarsi risuonano oggi su un tema come la ratifica della riforma del Mes, che nel resto dell’Eurozona è stato un banale passaggio burocratico mentre da noi è un nodo politico cruciale. Perché fa riapparire gli spettri della destra no euro (e quindi anti Mes) e della sinistra ostile alla costruzione “ordoliberista” dell’Ue, che su Micromega invita il governo Meloni a non ratificare il nuovo trattato.

 

Gli oltre 30 accademici di sinistra, prevalentemente economisti, dicono che il governo Meloni “fa benissimo a non ratificare la riforma” e su questo punto lo invita "a non cedere alle pressioni e a mantenersi su questa linea”. Si vede che Giorgia Meloni potrebbe cedere alle pressioni o alla tentazione della ratifica, anche come punto della strategia di costruzione di una destra conservatrice ed europeista, e così i rossi corrono in aiuto della fazione bruna della maggioranza che rischia di soccombere. L’appello di Micromega dice che l’argomento principale, secondo cui la riforma del Mes sarebbe necessaria al completamento dell’Unione bancaria perché introduce il backstop al Fondo di risoluzione unico per la gestione delle crisi bancarie, è infondato. Perché il completamento dell’Unione bancaria “non dipende dall’approvazione della riforma del Mes, ma dall’atteggiamento sbagliato e pericoloso di alcuni paesi” come la Germania che ritengono che prima della condivisione del rischio “si debba provvedere a una riduzione del rischio”, mettendo così sotto pressione le banche che devono liberarsi di titoli di paesi ad alto debito (l’Italia).

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Ma più in generale, gli economisti di sinistra dicono che “il Mes è nato malissimo e riformato peggio” dato che è tenuto a perseguire il solo interesse dei creditori, “che avrebbe l’ultima parola nel giudizio sulla sostenibilità del debito di chi vi ricorre” e per giunta impone politiche fallimentari “come insegna l’esperienza della Grecia”. Pertanto: “La sola riforma sensata del Mes sarebbe la sua abolizione, e l’attribuzione degli 80,5 miliardi di capitale versati dagli Stati membri a una costituenda Agenzia del debito”.

 

L’appello si basa su alcuni dati falsi. Ad esempio non è affatto vero che spetta al Mes l’ultima parola sulla sostenibilità del debito, perché proprio con la riforma questo compito spetta alla Commissione europea. Ed è miope limitare il ruolo del Mes al caso greco, perché altri quattro paesi che hanno richiesto l’assistenza del Mes come Cipro, Irlanda, Portogallo e Spagna sono usciti bene dalla crisi e meglio di paesi che non hanno fatto ricorso al Mes come l’Italia. Ma ciò che più sfugge alla logica è la strategia politica. Ovvero ritenere che la mancata ratifica italiana porterebbe allo scioglimento del Mes anziché a tenerlo così com’è. Ipotizzare che un veto dell’Italia condurrebbe in blocco tutti gli altri 18 paesi che sono d’accordo sulla riforma, Germania in testa, a sposare la posizione italiana sulla creazione di una “Agenzia del debito”. Pensare che bloccare il backstop (voluto dall’Italia) faciliti il completamento dell’Unione bancaria su una linea più favorevole all’Italia anziché mandare tutto a monte.

 

Insomma, non si sa se meraviglia di più l’imprecisione tecnica o la superficialità politica. Per l’interesse del paese, ma anche per il suo personale, Meloni farebbe meglio a non seguire la linea “diciottista”. Se ha dubbi a riguardo può sempre guardare ai risultati raccolti, per il paese e per il suo partito, dal suo vice Matteo Salvini.

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