(foto LaPresse)

quale sovranità?

Il motto liberista di Giorgia e lo statalismo protezionista della Melonomics

Stefano Cingolani

Alla Camera la premier dice: “Non disturbare chi vuole fare”. Ma i passaggi successivi del suo discorso delineano uno scenario economico che potrebbe essere diverso. Chissà se davvero, con questo governo che intende premiare il merito e rimettere in moto l’ascensore sociale, verrà rispettata la concorrenza

“Il motto di questo governo sarà: non disturbare chi vuole fare”. Applausi a scena aperta per Giorgia Meloni. Arriva la svolta liberale trent’anni dopo gli annunci di Silvio Berlusconi rimasti vuota retorica. Ancora: “Serve una rivoluzione culturale nel rapporto tra stato e sistema produttivo, che deve essere paritetico e di reciproca fiducia. Chi oggi ha la forza e la volontà di fare impresa in Italia va sostenuto e agevolato, non vessato e guardato con sospetto perché la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo stato con decreti o editti”. Evviva. Non solo: è benvenuto l’invito al pragmatismo che spinge a puntare tutto sull’argine al caro energia rinviando questioni prioritarie per l’alleato Matteo Salvini come le pensioni o la flat tax subito. Ebbene, il proclama thatcheriano segna il passaggio dalla destra sociale alla destra liberale? Vasto programma, davvero. 

 

Tre pagine prima (in base al testo integrale che abbiamo davanti, guai a fidarsi della memoria e degli appunti) il/la presidente del Consiglio dice: “La strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra, l’unica possibile, è la crescita economica, duratura e strutturale. E per conseguirla siamo naturalmente aperti a favorire gli investimenti esteri: se, da un lato, contrasteremo logiche predatorie che mettano a rischio le produzioni strategiche nazionali, dall’altro, saremo aperti ad accogliere e stimolare quelle imprese straniere che sceglieranno di investire in Italia, portando sviluppo, occupazione e know-how, in una logica di benefìci reciproci”. Tra le imprese ci sono anche i fondi diventati azionisti di grandi banche e industrie italiane, oppure fanno parte della genia predatoria?

 

Leggiamo alla pagina successiva: “Intendiamo tutelare le infrastrutture strategiche nazionali assicurando la proprietà pubblica delle reti, sulle quali le aziende potranno offrire servizi in regime di libera concorrenza, a partire da quella delle comunicazioni. La transizione digitale, fortemente sostenuta dal Pnrr, deve accompagnarsi alla sovranità tecnologica, al cloud nazionale e alla cyber-security. E vogliamo finalmente introdurre una clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale, anche sotto l’aspetto economico, per le concessioni di infrastrutture pubbliche, come autostrade e aeroporti. Perché il modello degli oligarchi seduti su pozzi di petrolio ad accumulare miliardi senza neanche assicurare investimenti non è un modello di libero mercato degno di una democrazia occidentale”.

Dunque, non disturbare chi vuol fare, ma dipende da che cosa vuol fare, da come e da chi. Il dubbio è legittimo. Per non perderci in discorsi sul metodo entriamo nel merito. Il governo Meloni vuole una rete digitale pubblica controllata o posseduta dal governo. Chi la paga e quanto? Che succede a Tim, l’azionista Vivendi viene accompagnato alla porta? Nell’Aspi, la società delle autostrade presa ai Benetton, accanto alla Cdp che possiede il 51 per cento ci sono il fondo Blackstone e la banca d’investimento australiana Macquarie (presente anche in Open Fiber): cadranno sotto la clausola sovranista che a quanto pare deve valere anche per gli aeroporti? A proposito di aeroporti e oligarchi, Giorgia Meloni intendeva i Benetton e Florentino Pérez, quindi dobbiamo attenderci qualche sorpresa per Fiumicino?

 

Tra le concessioni non sono previste le tv: Mediaset non è strategica? Politica industriale, sovranità, clausole di salvaguardia un po’ ovunque, l’interesse economico nazionale esteso a buona parte delle attività; un’aria di statalismo protezionista attraversa buona parte della Melonomics ed entra in contraddizione con il motto iniziale. Chissà se con questo governo che non disturba chi vuol fare, intende premiare il merito e rimettere in moto l’ascensore sociale, verrà rispettata la concorrenza. Chissà se un giovane che abbia interesse e capacità potrà prendersi una licenza di taxi o aprire uno stabilimento balneare senza venir bloccato dagli amici di Daniela Santanchè. Wait and see, non possiamo fare altro.
 

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