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Nadef, il Consiglio dei ministri approva il testo: nel 2023 pil +0,6 per cento, deficit 5,1 per cento

Federico Bosco

La Nota di aggiornamento del documento di Economia e Finanza ottiene il via libera in formula ridotta, senza gli aspetti programmatici che saranno di competenza del nuovo governo. I numeri e contenuti

Il Consiglio dei ministri ha approvato la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) 2022, che delinea lo scenario a legislazione vigente senza definire gli obiettivi programmatici di finanza pubblica per il triennio 2023-2025. L’economia italiana ha registrato sei trimestri di crescita superiore alle aspettative; le prospettive adesso risultano meno favorevoli in ragione del marcato rallentamento dell’economia globale e di quella europea, principalmente legato all’aumento dei prezzi dell’energia, all’inflazione e alla situazione geopolitica.

Per l’anno in corso, si prevede che il livello tendenziale del prodotto interno lordo (PIL) aumenti del 3,3 per cento, dal 3,1 per cento contenuto nello scenario programmatico del DEF in aprile, grazie alla crescita superiore al previsto registrata nel primo semestre e pur scontando una lieve flessione del PIL nella seconda metà dell’anno. Inoltre, per effetto del positivo andamento delle entrate e della moderazione della spesa primaria sin qui registrati quest’anno, si prevede che l’indebitamento netto (deficit) tendenziale scenda dal 7,2 per cento del 2021 al 5,1 per cento, un livello inferiore all’obiettivo programmatico definito nel DEF, pari al 5,6 per cento .

 Anche il rapporto debito/PIL è previsto in netto calo quest’anno, al 145,4 per cento dal 150,3 per cento  del 2021, con un ulteriore sentiero di discesa negli anni a seguire fino ad arrivare al 139,3 per cento nel 2025. Nel 2023, a causa dell’indebolimento del ciclo internazionale ed europeo, la crescita tendenziale prevista scende allo 0,6 per cento  rispetto al 2,4 per cento  programmatico del DEF di aprile; l’indebitamento netto tendenziale a legislazione vigente viene previsto al 3,4 per cento , inferiore all’obiettivo programmatico del 3,9 per cento. Queste previsioni sono improntate, come per i precedenti documenti di programmazione, a un approccio prudenziale e non tengono conto dell’azione di politica economica che potrà essere realizzata con la prossima legge di bilancio e con altre misure.

Questa mattina avevamo anticipato i principali numeri e le tendenze indicate dal documento approvato questo pomeriggio in Cdm. Trovate di seguito l'articolo 




Quella che si è appena conclusa è stata la prima campagna elettorale in piena sessione di bilancio, ma ciò nonostante è stata anche una competizione in cui i partiti hanno presentato programmi al buio con i conti incisi nella sabbia (in alcuni casi neanche quelli) rassicurati dal termine di scadenza per la presentazione della Nadef al 27 settembre, subito dopo le elezioni ma ben prima dell’insediamento alle Camere. 

Il documento arriverà in Cdm oggi pomeriggio alle 16,30 e a causa della frenata della crescita e degli aiuti in scadenza il governo dovrà riuscire a trovare tra i 40-50 miliardi di euro solo per lasciar e le cose come stanno. La Nadef uscirà in formula ridotta e senza gli aspetti programmatici che saranno di competenza del nuovo governo, ma sancirà comunque un quadro di crisi con un forte ridimensionamento delle prospettive di crescita per l’anno prossimo e fornirà i numeri che saranno alla base della legge di bilancio del nuovo governo a trazione Giorgia Meloni.

 

Secondo le anticipazioni del Sole 24 Ore il governo prevede una crescita del Pil per il 2023 “nettamente inferiore all’1 per cento”, quindi in calo tra 1,5 e 2 punti rispetto al 2,4 per cento stimato dal Def di aprile. Per il 2022 invece i numeri restano in linea con le previsioni (+3,2 per cento), la crisi energetica ha cancellato l’ottimismo del secondo trimestre (+1,1 per cento) riducendo le aspettative del terzo e mettendo a rischio negativo quelle del quarto. Le previsioni del Mef sono più ottimistiche di quelle della Banca d’Italia o dell’Upb ma in generale non si vedono segnali di recessione, tuttavia lo scenario non è roseo. Il nodo centrale infatti è il deficit, che nel 2023 dovrebbe attestarsi tra il -4,5 e il -4,9 per cento e non al -3,9 come stimato in precedenza. 

 

Ciò vuol dire che il prossimo governo dovrà partire con un vuoto di circa 18 miliardi di a cui vanno aggiunti tutti gli aiuti in scadenza a dicembre: taglio delle accise (1 miliardo al mese); azzeramento oneri di sistema (12 miliardi all’anno); taglio dell’Iva sul gas (9,5 miliardi); bonus 150 euro (3 miliardi); decontribuzione del 2 per cento (3,5 miliardi). Mentre estendere al solo mese di dicembre 2022  il credito d’imposta per le imprese sull’acquisto di energia costa 4,7 miliardi, secondo i dati forniti dal titolare del Mef Daniele Franco.

In totale dovrebbero venire a mancare almeno 40 miliardi a cui vanno aggiunte le somme per finanziare le promesse cardine del centrodestra come la flat-tax, quota 41, rivalutazioni e aumento delle pensioni minime e altri punti programmatici per cui non sono mai state definite realmente le coperture. Il nuovo governo di centro-destra dovrà sicuramente rimandare la sostanza delle promesse più suggestive e deludere gli elettori che hanno creduto con troppa faciloneria a qualche promessa di troppo, e allo stesso tempo dimostrare agli osservatori internazionali e a mercati di essere in grado di gestire i conti pubblici e la politica economica senza rompere la stabilità portata dal governo Draghi, erroneamente data per scontata come le rate del Pnrr e le politiche d’emergenza della Bce (terminate). 

Stamattina lo spread Btp-Bund è tornato ad allargarsi sfiorando quota 258 punti base, per poi rallentare a 254. Il rendimento sul decennale italiano ha superato viaggia intorno al 4,85 per cento. I mercati per ora sono alla finestra, in attesa di sapere chi prenderà il posto di Franco a via XX settembre.

Probabilmente la prima misura di politica economica che sarà approvata dal Cdm del nuovo governo sarà l’estensione del regime forfettario del 15 per cento alle p.iva che fatturano più di 100 mila euro l’anno, una misura relativamente a basso costo che soddisferà solo una piccola parte di un’opinione pubblica molto più preoccupata delle cifre che leggeranno sulle bollette dei mesi invernali.

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