Mario Draghi durante la conferenza stampa con cui il governo ha illustrato il decreto Aiuti Bis (Ansa)

l'analisi

Il decreto Aiuti bis può diventare un boomerang. Il caso bollette

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

La misura appena introdotta del governo vieta alle società energetiche di cambiare unilateralmente i prezzi delle tariffe: l'obiettivo è certamente quello di proteggere i consumatori ma disincentivare il mercato libero dell’energia potrebbe non essere una buona idea

Nei “Promessi sposi”, Donna Prassede – volendo aiutare e proteggere Lucia – fa il suo male. Sembra quasi che ci sia il suo zampino nel decreto “Aiuti bis” col quale il Consiglio dei ministri ha inteso, tra le altre cose, tutelare imprese e famiglie dal caro bollette. A dispetto delle buone intenzioni, infatti, gli effetti potrebbero in realtà essere di ben altro segno. E’ il caso della norma che impedisce, sino a fine aprile 2023, qualsiasi modifica unilaterale dei prezzi operata dai venditori di elettricità e gas del mercato libero nei confronti dei clienti finali. L’obiettivo è di impedire agli operatori di adeguare le condizioni commerciali al nuovo scenario dei prezzi all’ingrosso.

 

Ma se questi lo facessero, non sarebbe per cattiveria. Piuttosto, sarebbe perché il divario tra le offerte sottoscritte dai consumatori, spesso a prezzo fisso, e l’andamento dei prezzi all’ingrosso di elettricità e gas, che per i venditori rappresentano costi di approvvigionamento, si sta facendo insostenibile. Impedire qualsiasi correzione da parte dei venditori rischia di mettere a repentaglio la loro stessa sopravvivenza. In presenza di eventuali fallimenti, assisteremmo alla socializzazione, tramite bollette o maggiore spesa pubblica che si tradurrebbe poi in più tasse, di eventuali aiuti di stato per evitare il default di tali operatori o per assorbire i costi di tali default. A ciò va aggiunto che l’uscita dal mercato di alcuni operatori restringerebbe l’offerta commerciale e le opportunità dei consumatori di ottenere risparmi di spesa. Nella migliore delle ipotesi, invece, la misura creerebbe un disincentivo per i venditori ad adottare strategie di approvvigionamento che possano tradursi in un risparmio di costo per i clienti finali. Il problema riguarda soprattutto coloro che in questi mesi hanno tenuto duro e hanno mantenuto offerte estremamente vantaggiose per i consumatori.

 

L’ultimo rapporto dell’Authority per l’energia rileva che, nel primo semestre del 2022, il 10 per cento delle offerte per l’energia elettrica più convenienti sul mercato libero permette a un consumatore domestico tipo di risparmiare, rispetto ai prezzi regolati, tra gli 800 (per le offerte a prezzo fisso) e i 1.000 euro all’anno (per le offerte a prezzo variabile). La stessa Authority, analizzando i costi dell’importazione di gas naturale, ha rilevato che non c’è alcun indizio che i venditori stiano “facendo i furbi” rivendendo il metano a prezzi ingiustificati. E’ paradossale che siano proprio questi soggetti a essere implicitamente sanzionati. Ed è paradossale anche l’altra conseguenza: gli operatori sarebbero scoraggiati dall’offrire prezzi bloccati. In tal modo, gli operatori sul mercato libero finirebbero con il promuovere maggiormente offerte a prezzo variabile che, come le offerte di tutela (ossia le offerte a prezzo regolato di luce e gas) trasferiscono al dettaglio le variazioni dei prezzi all’ingrosso. E questo avverrebbe proprio mentre tutti si rendono conto che i prezzi regolati hanno imposto ai consumatori costi non necessari.  

 

Questo d’altronde è solo l’ultimo di una serie di interventi che l’esecutivo, pur non intenzionalmente, ha incoraggiato, anche indirettamente, a detrimento del corretto funzionamento del mercato libero. Peraltro, anche in contraddizione con il Pnrr che, tra le riforme strutturali, prevede il completamento della liberalizzazione dei mercati al dettaglio dell’energia. E’ prevista al 2023 e 2024, infatti, la soppressione della regolamentazione dei prezzi, rispettivamente, di gas ed elettricità. E già una volta gli impegni del governo sono stati disattesi, col rinvio di queste scadenze che avrebbero dovuto verificarsi all’inizio di quest’anno. Tra gli altri interventi, lo sconto applicato a luglio, e per tutto il terzo trimestre dell’anno, dall’Authority di settore ai soli clienti che, non avendo scelto un fornitore sul libero mercato, sono rimasti in regime di prezzi regolati (poco più di un terzo del totale). Lo sconto è stato applicato sulla componente della bolletta che copre i costi di approvvigionamento di Acquirente unico, l’ente pubblico che si occupa di acquistare l’elettricità all’ingrosso per i clienti con offerte di tutela.

 

Acquirente unico continua però ad acquistare a prezzi di mercato e, pertanto, prima o poi, la quota di costi di approvvigionamento da questo sostenuti e non remunerati per effetto dello sconto in bolletta dovrà trovare copertura nelle future bollette. Tra l’altro, non c’è alcuna evidenza che i clienti in tutela siano più poveri o bisognosi rispetto a quelli sul libero mercato: lo sconto non va a beneficio di chi ha più necessità, ma è riconosciuto a tutti i clienti finali serviti a prezzi regolati indipendentemente dalle condizioni economiche in cui versano.

 

A questo si aggiunge la famigerata tassa sugli extraprofitti delle imprese energetiche e che colpisce, tra gli altri, anche i venditori di luce e gas. Nonostante le criticità emerse sulla legittimità della misura, che in parte spiegano il mancato gettito denunciato dal premier Mario Draghi in conferenza stampa, il governo sembra volere inasprire le modalità di riscossione dell’imposta. Così come sembra che verrà prorogato fino all’aprile 2023 anche il prelievo straordinario sui ricavi degli impianti rinnovabili, che da un lato si continua a incentivare, dall’altro si penalizzano. Il governo farebbe bene a correre ai ripari e correggere il testo del dl “Aiuti bis”: come le strade, anche i decreti lastricati di buone intenzioni portano dove tutti sanno.

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