Niente voli pindarici

I contratti pubblici servono a promuovere riforme e transizioni? L'Anac esagera

Giulio Napolitano

L'Autorità nazionale anticorruzione, nella sua relazione annuale al Parlamento, esprime una visione troppo idealistica dei contratti pubblici. Lasciamo fare all’amministrazione contraente il suo compito essenziale: che è esattamente quello di procurarsi beni e servizi e costruire opere e infrastrutture alle condizioni più vantaggiose e nei tempi più rapidi

Nella relazione annuale al Parlamento presentata ieri, l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) afferma che i contratti pubblici “non sono solo un mezzo per acquistare beni e servizi, o per costruire piccole e grandi infrastrutture”. Essi, “invece” (ci si sarebbe aspettati almeno un veltroniano “ma anche”), sono “lo strumento più efficace nelle mani dei decisori pubblici per dare impulso e concretezza alle politiche pubbliche, per rendere concreti e attuali i valori ad essi sottesi, nonché per perseguire le grandi finalità legate alla coesione sociale, alla transizione ecologica e digitale”. Insomma, secondo l’Anac, i contratti pubblici sono un mezzo per promuovere le grandi riforme, magari addirittura per fare la rivoluzione, oltre che un’alcova per fare l’amore (sempre secondo l’Anac, infatti, sono “il luogo ideale di incontro fra pubblico e privato”). 


Ci sia consentito sollevare qualche dubbio su una visione così idealistica dei contratti pubblici e, parafrasando Buchanan (politics without romance), richiamare a una più concreta e realistica visione dei contratti pubblici “senza romanticismi”. Lasciamo fare all’amministrazione contraente il suo compito essenziale, per quanto possa apparire troppo modesto o terreno: che è esattamente quello di procurarsi beni e servizi e costruire opere e infrastrutture alle condizioni più vantaggiose e nei tempi più rapidi. Nel fare ciò, naturalmente, si possono tenere in considerazione anche obiettivi ulteriori di politica ambientale e sociale come previsto pure dall’ordinamento europeo, analogamente a quanto accade per i consumatori individuali quando decidono di comprare “bio”, “green”, oppure “equo o solidale”. Ma più si fanno prevalere le finalità secondarie (che restano tali anche quando sono “generali”) su quelle primarie, più si rischia di continuare a distorcere l’azione amministrativa, aggravare la regolazione e falsare il mercato, con buona pace anche dei regolatori pur animati dalle migliori intenzioni.   

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