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L’indipendenza energetica è lontana. Ma lavorare sui tabù si può. Parla Tabarelli

Annalisa Chirico

Il presidente di Nomisma Energia: "Vedo un filo di ottimismo nell’analisi su conseguenze e fattibilità di un eventuale embargo del gas russo. Dobbiamo chiederci che cosa siamo disposti a tagliare, almeno temporaneamente". E poi bisogna puntare ai giacimenti nazionali

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“Embargo significa razionamento”, non intende indorare una pillola amarissima il professore Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, tra i massimi esperti in Italia. “Vedo un filo di ottimismo nell’analisi su conseguenze e fattibilità di un eventuale embargo del gas russo. È una scelta politicamente difficile, un embargo immediato senza razionamento è impossibile. Dobbiamo chiederci che cosa siamo disposti a tagliare, quali attività, quali imprese chiudere almeno temporaneamente. Esistono già i cosiddetti ‘interrompibili’ nell’industria ma non sono sufficienti. Le nuove regole sul riscaldamento nella pubblica amministrazione possono farci risparmiare un miliardo di metri cubi di gas, se va bene. Ma la quota da compensare è pari a 29 miliardi”.

 

Il governo punta sulla diversificazione delle fonti, in particolare dall’Africa. “Questa crisi ci ha fatto piombare nella confusione. La gente non si rende conto di quanta energia consumiamo ogni istante della vita. Per prima cosa, dovremmo puntare a estrarre di più dai giacimenti nazionali: non sono risolutivi ma, a regime, si potrebbe arrivare a dieci miliardi di metri cubi, per un valore di dieci miliardi di euro di pil che, attualmente, teniamo sottoterra o regaliamo a Putin. Un delitto economico”.

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Congo, Angola, Nigeria danno garanzie maggiori in termini di democraticità? Gazprom non ha mai interrotto le forniture all’Europa, neanche dopo le sanzioni per l’annessione della Crimea. “La tragedia ucraina ci ha riportato alla dura realtà delle autocrazie dei fossili. La più pericolosa è la Russia, scopriamo oggi, ma dove eravamo nei precedenti 50 anni quando si è sempre rivelata un fornitore affidabile. Con la Russia ci siamo illusi di avere un Texas in Europa in grado di fornire alle nostre imprese energia a basso costo. E’ il tempo di prendere atto che abbiamo un disperato bisogno di combustibili fossili e l’Europa ne è quasi priva. Non è bloccando la produzione nazionale di metano che si compie il salto verso le rinnovabili”.

 

La tenuta del tessuto produttivo e industriale italiano è a rischio? “La Banca d’Italia prevede un ‘forte rallentamento’ che spero non sia recessione. Per scongiurare questo scenario, è necessario che le centrali a carbone operino a pieno regime e si riapre quel po’ di capacità chiusa di recente.. Se vogliamo l’embargo, dobbiamo prevedere dei blackout programmati per le centrali elettriche, come nel 2003. È l’unico modo per riempire le scorte entro il prossimo inverno. Se falliamo, resteremo al freddo”.

 

Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani calcola in 24 mesi il tempo necessario per diventare autonomi da Mosca. “Viene a mente Keynes, nel lungo periodo saremo tutti morti. Ci sono persone come Enrico Letta che pensano che sia facile trovare del gas, e lui di gas se ne intende. Ha dato il nome al decreto che nel 2020 ha recepito in Italia la direttiva europea del ‘98 per il mercato interno del gas naturale, una pietra miliare. Ma la realtà è diversa: bisogna rivedere il Titolo V della Costituzione e riportare al centro, a Roma, il potere decisionale sulle questioni energetiche. Gli enti locali non devono avere parola”.

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Quando abbiamo perso il treno dell’indipendenza energetica? “In Italia prevale da anni una cultura antindustriale, forte anche in questo governo, in particolare nella componente 5Stelle. La ricchezza si fa con la tecnica, non basta il turismo. Il premier Mario Draghi ne è consapevole ma mette al primo posto la stabilità sistemica, vale a dire la sottoscrizione del debito pubblico”. Che cosa incide di più: l’ideologia? La burocrazia? “La paura della firma nella pa conta molto, le procure intervengono con eccessiva disinvoltura, spesso sotto la pressione di chi osteggia le opere. Con una normativa complessa e contraddittoria, è facile trovare errori che diventano poi illeciti penali, perciò le imprese private non hanno voglia di investire. E poi c’è l’ideologia: il nucleare, per esempio, lo ha inventato un ebreo romano, di nome Enrico Fermi, che abbiamo lasciato emigrare verso gli Stati Uniti dove per questo ha preso il premio Nobel. A Roma alla Sapienza c’è il premio Nobel della fisica Parisi, ma è contro il nucleare”.

 

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Il rigassificatore di Porto Empedocle, progettato da Enel, è al palo da sette anni per l’opposizione di soprintendenze e comitati locali. “L’idea è partita diciotto anni fa a causa dello stallo su Brindisi. Già nel 1970, con Eni e Snam, c’erano dieci progetti per la realizzazione di altrettanti rigassificatori. Oggi l’Italia ne ha tre, la Spagna sette”. Non abbiamo parlato di rinnovabili. “Ben vengano purché si sappia che sono intermittenti e disperse. Da sole non sono la soluzione. L’idroelettrico è destinato a calare perché gli attuali impianti vanno sottoposti a rifacimenti, il che implica iter autorizzativi e tempi aggiuntivi”. Ma tutto questo come si concilia con il Green deal? “Il piano della Commissione europea è irrealistico, a meno che non smettiamo di crescere e accettiamo di impoverirci tutti”. 

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