(foto EPA)

La politica monetaria della Russia tra inflazione e recessione

Riccardo Trezzi

Le contromisure prese dalla Banca centrale hanno in parte raggiunto gli obiettivi. Ma il costo che il paese deve pagare per stabilizzare i prezzi è una recessione in doppia cifra

La Banca centrale russa ha annunciato il taglio del tasso di rifinanziamento principale dal 20 per cento al 17 per cento con effetto dall’11 aprile. La mossa di politica monetaria arriva a sole cinque settimane dalla decisione di alzare bruscamente il tasso dal 9,5  al 20 per cento annunciata lo scorso 28 febbraio, poco dopo l’invasione dell’Ucraina e le relative sanzioni occidentali. Cosa spiega le scelte dell’autorità monetaria di Mosca? Le azioni di politica monetaria sono volte a raggiungere due obiettivi, ovvero la stabilizzazione dei cicli economici e il raggiungimento dei target d’inflazione (oltre alla riduzione dell’eccessiva volatilità del tasso di cambio se necessario). La Banca centrale russa ha prima alzato e poi parzialmente abbassato i tassi poiché questi due obiettivi sono diventati contrapposti nel quadro post-sanzioni.

La Russia è entrata nell’attuale crisi con un mix di fondamentali solidi e debolezze strutturali: all’attivo delle partite correnti determinato dalle esportazioni di materie prime si contrappone un’economia ancora in parte convalescente dalla crisi del 2014. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale il livello di prodotto interno lordo reale pro-capite (espresso in dollari) a fine 2021 era simile al livello del 2013, a causa della bassa crescita e del continuo deprezzamento del rublo. Sul fronte dell’inflazione, invece, a seguito della crisi del 2014 la Banca centrale russa ha introdotto un target, pari al 4 per cento annuo, che ha aiutato la stabilizzazione dei prezzi negli anni pre-Covid ma a febbraio 2022, già prima della guerra,  il paese registrava il 9,2 per cento di inflazione risentendo dei problemi delle catene del valore globali, degli alti prezzi di materie prime non energetiche e del rinnovato deprezzamento del cambio.

Su questo quadro macroeconomico si sono instaurate le sanzioni occidentali che hanno tre non celati obiettivi: provocare una significativa recessione, limitare le politiche di stabilizzazione del rublo e generare alta inflazione. Dal punto di vista russo, il quadro post sanzioni prevederebbe quindi politiche monetarie contrapposte: da un lato la recessione richiederebbe politiche monetarie espansive, dall’altro il deprezzamento del rublo osservato nei giorni seguenti l’invasione dell’Ucraina richiedeva un brusco innalzamento dei tassi e limiti alla circolazione dei capitali. Messa davanti a questa scelta, la Banca centrale ha innalzato i tassi a difesa del rublo e delle dinamiche inflative, accettando quindi il costo recessivo della disinflazione.

Il mix russo di politiche monetarie e macroprudenziali aggressive sembra aver raggiunto i propri obiettivi primari, non solo sul fronte del cambio ma anche dei prezzi. Le autorità russe pubblicano, infatti, un indicatore settimanale che permette di avere un’idea in tempo reale dell’andamento dei prezzi al consumo. 

Dall’imposizione delle sanzioni alla scorsa settimana i prezzi al consumo sono cresciuti a una media del 1,7 per cento settimanale. Per dare un raffronto, negli anni 2016-2019, i prezzi sono aumentati dello 0.08 per cento alla settimana, ovvero circa venti volte in meno rispetto all’ultimo mese. La buona notizia per i russi è che la settimana scorsa la crescita dei prezzi è risultata meno della metà di quella di un mese prima. Per questo la Banca centrale ha potuto iniziare ad abbassare i tassi. Infatti, quello che sembra sfuggire al dibattito è che, come spiegato in precedenza, il costo che la Russia deve pagare per stabilizzare (per lo meno al momento) prezzi e rublo è una recessione in doppia cifra che, stando alle stime di alcuni centri studi, potrebbe essere la più grande degli ultimi 30 anni. L’evidenza delle ultime settimane è dunque chiara. La Russia è pronta a difendere il rublo e la stabilità dei prezzi, accettandone i costi in termini di pil. Quello che rimane da capire è se noi siamo disposti ad accettare qualche costo per vincere la guerra.

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