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gli effetti della guerra

Il prezzo dell'olio aumenta per la guerra in Ucraina. E rispunta quello di palma

Alberto Chiumento

I semi di girasole prodotti in Ucraina sono bloccati nei porti e le quotazioni esplodono, facendo crescere anche i prezzi degli altri oli come quello d'oliva. "L'industria italiana può coprire un paio di mesi. Ma è partita la corsa agli acquisti", ci dice un imprenditore del settore

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Le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina hanno raggiunto anche il settore agroalimentare, la cui filiera è in difficoltà già da vari mesi a causa di un generalizzato aumento dei prezzi delle materie prime alimentari. Il timore iniziale che l’Italia potesse rimanere senza grano per fare la pasta è infondato: il grano duro, quello da cui si produce la pasta, proviene solo marginalmente dalla Russia e per nulla dall’Ucraina. Tuttavia, altri segmenti del settore sono in grossa difficoltà per via della guerra scatenata da Putin.

L’Ucraina è il principale produttore di semi e olio di girasole, un bene fondamentale sia nell’industria alimentare, dove si usa per friggere ma anche per fare biscotti e la maionese, sia nella zootecnia, dove è impiegato per produrre mangime. L’elevata specializzazione dell’Ucraina su questo aspetto rende complicato trovare un sostituto. E in mancanza di un sostituto, i prezzi non possono che aumentare.

A gennaio 2021, il prezzo di un chilo d’olio di girasole era 1,10 euro, poi salito a 1,30 euro. Ora, però, la sua quotazione è letteralmente esplosa, raggiungendo i 2,80 - 3 euro, perché il mercato si è paralizzato da un giorno all’altro: la merce, infatti, è già stoccata sulle navi e pronta per lasciare i porti ucraini, ma le navi russe che pattugliano il Mar Nero rendono complessa la partenza.

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Molte aziende si stanno spostando su delle alternative, ma qui nascono nuovi problemi, dice Cornelio Spinella, cfo dell’oleificio toscano Salvadori. “Il prezzo è aumentato a cascata anche per gli altri oli. Un sostituto può essere l’olio di soia, che però non è adatto per friggere”. Anche oli di qualità superiore, come quello d’oliva, sono stati colpiti dagli aumenti. Secondo Poolred, la piattaforma spagnola di pricing dell’olio, solamente in questa settimana l’olio extra vergine di oliva è aumentato del 7,6 per cento, raggiungendo i 3,6 euro al litro.

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“Le scorte ci sono e, a livello di industria italiana, secondo me siamo in grado di coprire un paio di mesi. Tuttavia, è partita una corsa per ottenere l’olio: in questi giorni mi hanno chiamato addirittura da Hong Kong per chiedere se potessi vendergli l’olio di girasole. Qui in Toscana, ho visto che la grande distribuzione ha incominciato a contingentare la vendita delle bottiglie di olio ai clienti.”

 

L’alternativa più comoda è passare all’olio di palma, ingrediente che ha causato molte discussioni in passato, ma che non è vietato. “Credo che molte aziende torneranno all’olio di palma. È’ la cosa più conveniente.” Tuttavia, c’è anche qui un problema, ed è il packaging. “Date le polemiche degli scorsi anni, le confezioni di moltissimi prodotti esaltano la mancanza dell’olio di palma. Chi tornerà ad usarlo dovrà per forza cambiare il packaging ma questo richiede tempo e spese aggiuntive, senza dimenticare che ora anche i costi della carta e della plastica da imballaggio sono aumentati moltissimo”.

La ciclicità che caratterizza i tempi dell’agricoltura contribuisce ad aumentare i prezzi. “Per il girasole, come per il mais si avvicina il momento della semina per il prossimo raccolto”, spiega Giorgio Agugiaro, presidente di Compagnia Generale Molino, società che possiede tre molini in Italia. “Io mi auguro che la guerra cessi ora, ma l’andamento del conflitto in Ucraina rende impossibile pensare che la semina in aprile possa avvenire. Anche la raccolta del grano nei mesi estivi è complicato che venga fatta in un paese così duramente colpito. L’agricoltura ha dei tempi tecnici naturali che non possono essere modificati, quindi le difficoltà dureranno parecchio.” Anche per discutere di questo ieri si è svolta una riunione tra i ministri dell’agricoltura del G7, organizzata dalla Germania.

La difficoltà in Ucraina ha spinto il governo a imporre il divieto di export sui beni agricoli - come grano e altri cereali - per “soddisfare il bisogno alimentare della popolazione ed evitare una crisi umanitaria in Ucraina”, ha spiegato il ministro dell’agricoltura e delle politiche alimentari ucraino, Roman Leshchenko.

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Lo stop alle esportazioni è stato introdotto anche da altre nazioni, seppur per motivi completamente diversi. La Serbia, dicendo di voler evitare speculazioni, sembra aver agito in supporto al governo russo, a cui non ha applicato le sanzioni definite a livello europeo. Ungheria e Bulgaria, due paesi con legami spesso cordiali con la Russia, hanno fatto lo stesso violando però i regolamenti sul commercio dell’Unione Europea.

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Il ministro bulgaro dell’agricoltura, Ivanov, ha smentito la scelta del suo governo, ma si registrano rallentamenti ed eccessivi controlli alle dogane bulgare. Anche per questo il comunicato prodotto dal G7 chiede “a tutti i paesi di mantenere aperti i propri mercati di generi alimentari e agricoli e di prendere precauzioni contro le ingiustificate restrizioni alle esportazioni.” C’è quindi un paradosso: i blocchi imposti da Serbia e Ungheria rischiano di essere, per il settore italiano del grano tenero, più gravi rispetto ai fatti dell’Ucraina, paese da cui l’Italia importa meno del 5 per cento del grano totale. “Anche per l’Olio di girasole lo stop ungherese può essere un problema: lì si raffina molto l’olio. A monte di questo, però, c’è il problema energetico in Italia: i costi di elettricità, gas e carburante sono aumentati troppo per moltissime aziende”, conclude Spinella.

 

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