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È ora di trivellare di più

Ecco il piano di Draghi per raddoppiare l'estrazione del gas in Italia

Maria Carla Sicilia

Fino a tre miliardi di metri cubi in più per alleggerire le bollette dell'industria energivora. I siti possibili e i nodi da sciogliere. Tutte le carte sul tavolo del Mef per dare una risposta al caro energia senza compromettere la crescita 

Al Foglio risulta che la prossima settimana il governo annuncerà che uno degli interventi in campo per dare una risposta alla crisi dei prezzi energetici è autorizzare una maggiore estrazione di gas naturale. “La priorità è assicurare una crescita equa e sostenibile, ed è fondamentale che la crescita non sia strozzata dal caro energia”, ha detto ieri Mario Draghi in conferenza stampa, spiegando che oltre al sostegno economico il provvedimento su cui il governo lavora conterrà misure di carattere strutturale, “con il potenziamento delle rinnovabili e della produzione di energia”, e misure “per assicurare la fornitura all’industria a un prezzo calmierato”. Ma c’è di più. 


Proprio per preservare la competitività dell’industria, in particolare quella energivora, il tesoretto di gas conservato al largo delle coste italiane si rivela prezioso: raddoppiare la produzione, che è il piano di Draghi confermato al Foglio da tre fonti qualificate, significa arrivare a estrarre circa 7 miliardi di metri cubi di gas, un volume limitato rispetto ai consumi nazionali (circa 70 miliardi all’anno) che va utilizzato in maniera chirurgica laddove gli effetti del caro energia mettono più a rischio la crescita. Le bollette triplicate hanno spinto Confindustria a un forte attivismo, alcuni settori energivori – dalla ceramica alla siderurgia – sono a rischio chiusura o delocalizzazione ed è una emorragia industriale che il paese non può permettersi. Anche a costo di sfidare i tabù dell’ambientalismo. Tra le forze politiche c’è un inedito clima favorevole e le reazioni del dibattito pubblico potrebbero essere ammorbidite dall’urgenza di dare una risposta al caro bollette.

 

In questo quadro, i produttori di gas che fino all’altro ieri erano dei quasi nemici, sono diventati oggi degli imprescindibili alleati. E così, per avviare le attività necessarie, al Mef si ragiona già sui luoghi, sui volumi, sulle autorizzazioni e sugli aspetti finanziari. Con un paletto, che almeno per il momento resta in piedi: non ci saranno accordi industriali diretti tra energivori e produttori, ma lo stato avrà un ruolo di mediatore anche sugli aspetti finanziari che regolano la cessione a prezzi calmierati. Una possibilità è che lo stato si vincoli a fornire le autorizzazioni in tempi più rapidi di quelli consueti almeno per alcuni pozzi aggiuntivi nei giacimenti già in produzione, quelli che possono iniziare prima di altri a immettere gas nella rete, ma non è detto che basti a rassicurare l’industria dell’upstream rispetto agli investimenti richiesti. Secondo le ricostruzioni di Staffetta Quotidiana, 1,5-2 miliardi di metri cubi possono essere recuperati da attività di perforazione di pozzi aggiuntivi (infilling) e, in parte minore, da attività di manutenzione straordinaria dei pozzi esistenti (workover). L’altro aspetto finanziario riguarda una possibile garanzia statale in caso di insolvenza delle aziende beneficiarie della misura.

 

Ieri, con un tempismo perfetto, è stato anche pubblicato il piano delle aree idonee (Pitesai), che sblocca la moratoria voluta nel 2019 dal governo gialloverde. Un documento atteso che serve a individuare i luoghi dove si potranno ancora svolgere attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, escludendone altri. Ma anche a mandare avanti progetti già avviati e non ancora in produzione. Quel che è certo è che l’estrazione aggiuntiva di gas, in armonia con il Pitesai, riguarderà i progetti al largo delle nostre coste – che non prevedono nel corso dei procedimenti autorizzativi i pareri degli enti locali – e in particolar modo l’offshore nell’Adriatico. Il primo passo è proprio quello di estrarre di più dai giacimenti già in produzione, che come detto potrebbero fornire parte del raddoppio auspicato dal governo. Il secondo passo è valutare l’avvio di nuovi progetti. Le concessioni di coltivazione non ancora in produzione sono quelle più rapide da avviare. E tra i progetti più importanti c’è quello di Argo e Cassiopea di Eni e Energean, che può portare oltre 1,6 miliardi di metri cubi all’anno. Ma si trova al largo dell’offshore siciliano, dove secondo il Pitesai ci sono alcune aree non idonee. C’è poi un’altra zona al largo delle nostre coste che si è rivelata la più promettente nel corso delle esplorazioni condotte in passato, è l’Alto Adriatico che bagna le coste venete ma lì dal 2008 vige il divieto di esplorazione.

 

I prossimi giorni saranno decisivi per trovare una soluzione convincente per l’industria in difficoltà ma anche per i produttori di gas. “L’attuale emergenza va affrontata anche con un piano strutturale e strategico”, ha detto ieri in un comunicato Assorisorse. Lasciando intendere che la spinta emergenziale può essere l’occasione per definire una cornice in grado di dare un orizzonte al settore, che per definizione si muove su piani di investimento di lungo periodo. Le risposte dovranno essere rapide, perché le operazioni richiedono tempi lunghi, dai 18 ai 36 mesi. L’unico tassello comprimibile è quello relativo alle autorizzazioni, che resta uno dei temi più dirimenti perché l’operazione vada a buon fine.

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.