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Cosa ci dice l’allarme sull’inflazione del Fondo sovrano norvegese 

Bernardo Bertolotti

Il Ceo del maggiore fondo sovrano del mondo ha messo in guardia sugli effetti negativi che si potrebbero avere vista la congiuntura economica attuale. Ma le sue dichiarazioni sono anche un monito per il governo, che mantiene un approccio eccessivamente prudente 

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"Ci aspettano tempi più difficili di quelli passati, con tassi di interesse bassi e mercati sempre in rialzo. Con l’inflazione che cresce dappertutto e in alcune aree accelera, potremmo assistere a un periodo prolungato di rendimenti bassi". La preoccupazione che il recente aumento dell’inflazione non sia transitorio ma permanente è diffusa e domina le discussioni sugli scenari e i rischi dell’economia globale. Quando però a esprimersi in modo netto sulla questione è il Ceo del Fondo sovrano norvegese, una sua dichiarazione sul Financial Times viene presa molto sul serio. Con un patrimonio di oltre 1.300 miliardi di dollari, il Govermnent Pension Fund Global è il maggiore fondo sovrano del mondo, e dalla sua istituzione nel 1997 è costantemente cresciuto grazie ai proventi dell’esportazione del petrolio, sempre reinvestiti e mai spesi. Il suo statuto gli consente di finanziare il bilancio pubblico solo attraverso i rendimenti degli investimenti, preservando il capitale per le generazioni future. A oggi, il fondo è un gigantesco Etf gestito dalla banca centrale e ha in portafoglio circa il 2 e l’1,5 per cento del mercato globale del reddito fisso e dell’azionario, interamente investito all’estero e secondo i più  stringenti requisiti di sostenibiltà Esg.


Per quale motivo il Ceo Nicolai Tangen ha deciso ieri di intervenire nel dibattito sull’inflazione? E’ bene ricordare che a questi livelli comunicazione finanziaria non è mai estemporanea, ma sempre orientata a veicolare un messaggio preciso a specifici interlocutori. In questo caso, l’obiettivo di Tangen sembra essere allertare la politica locale (e quindi la popolazione dato l’elevato tasso democratico nel paese) sugli effetti negativi sul proprio portafoglio derivanti dai nuovi trend dell’inflazione globale. Il fondo ha chiuso (come molti altri investitori istituzionali) un 2021 in maniera molto brillante, con un rendimento del 14.5 per cento, superiore dello 0,74 per cento rispetto al proprio benchmark. Tangen sa che il fondo performa particolarmente bene quando l’outlook dei mercati è positivo, ma delude (anche in termini relativi) nelle fasi ribassiste. Chiuse infatti molto male il 2008 quando esplose la crisi finanziaria, ma anche in altri anni difficili quali il 2011 e il 2018 i rendimenti sono stati inferiori al benchmark. Con questa dichiarazione, Tangen quindi si cautela prudenzialmente rispetto a un possible bilancio deludente che si potrebbe registrare a fine 2022. 


Ma non si puo’ nemmeno escludere un’altra interpretazione, leggendo sotto traccia la dichiarazione al Financial Times. Nella sua vita precedente, Tangen ha fondato e gestito hedge funds, e ha quindi dimestichezza con quegli strumenti finanziari ad alto rischio e rendimento che al momento non sono ammessi nell’allocazione strategica del fondo, rigidamente stabilita dal Parlamento norvegese in una tripartizione fra comparto azionario (70 per cento), obbligazionario (23 per cento) e immobiliare (7 per cento). Presagendo un risultato negativo, Tangen palesa i limitati margini di manovra della propria gestione di portafoglio, chiamando implicitamente in causa l’approccio eccessivamente prudente del governo nella politica di investimenti del fondo.                    

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Al di là dei messaggi esplitici o subliminali, è interessante chiedersi quali effetti possa avere il messaggio spedito da Oslo. Il vertice di una delle più importanti istituzioni finanziarie globali sembra sancire senza appello la fine della cosiddetta Greenspan (poi Fed) put, cioè’ la disponibilità della banca centrale americana a interverire sempre e comunque a sostegno dei mercati ai primi segnali di crisi. Allora, l’inflazione era uno spettro lontano. Oggi, un fatto statistico ormai consolidato. I mercati perdono quindi quella rete di sicurezza che per anni ha sostenuto i pressi e contribuito alla rincorsa delle valutazioni. La dichiarazione di Tangen contribuisce ulteriormente ad ancorare queste aspettative.

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Bernardo Bertolotti, Direttore Sovereign Investment Lab Università Bocconi e Nyuad

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