Un Sud senza retorica

Stefano Cingolani

Altro che cattedrali nel deserto, l’industria del nuovo secolo ha avvicinato il Nord e il Sud, eppure essi restano ancora lontani. Per trovare il perché bisogna lasciare a casa le lenti del pregiudizio. Un libro per riflettere

"Se esistesse una Repubblica dell’Italia Meridionale, sarebbe l’ottavo paese manifatturiero d’Europa”: lo sostiene Gregorio De Felice, capo economista della banca Intesa Sanpaolo. Un paradosso? Nient’affatto. Certo smentisce un luogo comune, anzi qualcosa di più, l’abitudine a concepire il Mezzogiorno d’Italia come intrappolato una volta per sempre nella cultura del sottosviluppo e della dipendenza. Intere biblioteche sono state scritte, si è fatto ricorso a teorie le più diverse, alla storia, alla economia dello sviluppo (una branca sulla cresta dell’onda fino agli anni ’80, tornata in gran spolvero ora che si discute sui limiti e le contraddizioni della crescita globale), alla psicologia, perfino alla genetica evoluzionista come fa con un approccio che rischia di diventare sulfureo se non pericoloso, un libro da poco pubblicato (Mario Fabbri, Il carattere meridionale, dalle origini evolutive alle conseguenze economiche, La fabbrica delle illusioni editrice).

Ma come sempre accade ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne possiamo sognare nelle nostre filosofie. Lo stesso Piano di ripresa e resilienza che destina al Mezzogiorno 82 miliardi di euro, pari al 40% delle ricorse totali, deve tener conto di una realtà molto più articolata e complessa rispetto a quel che si pensa, si scrive, si teorizza comunemente. E cominciamo proprio dalla manifattura. L’ultimo rapporto della Svimez avverte che la pandemia ha colpito una economia già debole: il Pil dovrebbe crescere al sud nel 2021 dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4% invece al Centro-Nord del 4,5% e del 5,3%. La ripresa, dunque, riapre un forte di differenziale tra le due macro aree, invertendo la tendenza emersa nello scorso decennio. La Fondazione Ugo La Malfa nella sua indagine sulle medie imprese (da 50 a 500 occupati con un fatturato da 16 a 600 milioni di euro) localizzate nel sud aveva messo in luce come la loro redditività fosse in linea con quella delle imprese settentrionali. Tuttavia, il nucleo di società in grado di competere anche sui mercati internazionali è limitato (appena 300 aziende) e concentrato in Abruzzo, Campania e Puglia. Il resto sarebbe “un deserto industriale”, secondo i ricercatori della FUL. Federico Pirro, docente all’Università di Bari non è d’accordo e fa i nomi.

Le tre più grandi fabbriche italiane per numero di addetti diretti sono tuttora localizzate in Puglia, Basilicata e Abruzzo: il siderurgico di Taranto, la fabbrica di auto della FCA a S.Nicola di Melfi (PZ) con i suoi 7.256 occupati, la Sevel con 6.100 addetti. L’indotto occupa circa 7.000 unità nel tarantino e 4.100 a Melfi, mentre l’intero settore dell’automotive in Abruzzo dà lavoro a 30 mila operai, tecnici, impiegati. In Italia la maggiore quantità di autoveicoli si produce proprio nel Meridione. Va aggiunta poi la componentistica (Bosch, Magma, Magneti Marelli, Graziano). In Campania emerge il gruppo Adler, una multinazionale con 80 siti all’estero ed oltre 1,5 miliardi di fatturato nel 2018. Le principali raffinerie italiane per capacità di lavorazione sono insediate nell’Italia meridionale. I più grandi giacimenti petroliferi europei on shore sinora scoperti sono localizzati in Basilicata. Due dei cinque distretti aeronautici italiani sono in Campania e in Puglia. Il maggior Arsenale della Marina Militare è quello di Taranto ove lavorano 1.500 addetti fra 1.350 civili e 150 militari. L’industria farmaceutica è presente con gli stabilimenti della francese Sanofi nell’Aquilano e a Brindisi, della tedesca Merck a Bari, delle statunitensi Novartis a Torre Annunziata e Pfizer a Catania, e con gli impianti delle italiane Dompé, Menarini, Altergon, Sifi, Kedrion, Gnosis Bioresearch, Lachifarma. Per la costruzione e manutenzione di treni ci sono i grandi stabilimenti della Hitachi Rail Italy (ex Ansaldo Breda) di Napoli e Reggio Calabria, della Titagarh Firema nell’area di Caserta e delle Officine delle FS a Foggia. Nell’eolico con le sue wind farm e nel fotovoltaico la Puglia è la numero uno in Italia e la seconda per energia generata da qualunque fonte (fossile e rinnovabile) alle spalle della Lombardia. La maggiore centrale idroelettrica del Paese per capacità (1.000 MW) non è sulle Alpi, bensì a Presenzano in Campania. L’elenco diventa ancor più lungo se ci allarghiamo a settori come l’agro-alimentare, il tessile-abbigliamento e la moda (si pensi a Martina Francia e al successo di Tagliatore), il cemento.

Questo girotondo manifatturiero ci manda alcuni messaggi di fondo. Il modello dei distretti si è esteso anche al meridione; non si può più parlare di cattedrali nel deserto. Lo spirito del capitalismo soffia ovunque, non ci sono differenze discriminanti, siano esse geografiche, attitudinali, culturali o religiose. L’industria del nuovo secolo ha avvicinato il Nord e il Sud, eppure essi restano ancora lontani. Per trovare il perché bisogna lasciare a casa le lenti del pregiudizio.
 

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