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Editoriali

L'altro sblocco che serve al tessile

Redazione

Contro la crisi prolungata di un settore occorrono idee, non solo sussidi

La proroga a fine ottobre del blocco dei licenziamenti per le aziende di tessile e pelletteria è logica, essendo l’abbigliamento quello che più ha sofferto per le chiusure per covid, con distretti come Prato (il maggiore d’Europa con 7 mila aziende e 40 mia addetti), Biella e Como alle prese con cali di ordini del 70 per cento. Ieri mentre il governo decideva il gruppo Ferragamo annunciava l’assunzione come ad di Marco Gobbetti, ceo di Burberry’s (del quale ha risollevato blasone e finanze) e per 13 anni nel conglomerato del lusso Lvmh a capo dei brand Givenchy e Celine.

 

E’ utile osservare la reazione di borsa: scontato il calo di Burberry’s, Ferragamo ha inizialmente guadagnato quasi tre punti per perderne rapidamente altrettanti; per gli analisti l’arrivo di un top manager forte rende meno probabile la cessione dell’azienda quasi centenaria con la famiglia divisa da anni tra la prosecuzione in solitario e l’alleanza o la vendita a una conglomerata come appunto Lvmh o Kering. Il maxi-gruppo di Bernard Arnault, Lvmh, è appena intervenuto in Tod’s acquisendone il 30 per cento. Quello del rivale francese  François Pinault controlla già in Italia, tra gli altri, Gucci.

 

Di fatto l’alta moda italiana, della quale distretti e piccole aziende sono tributari, ha da tempo scelto la globalizzazione; con la solitaria eccezione di Giorgio Armani, sotto regia francese poiché qui ai piani alti non c’è mai stato un Arnault o un Pinault. Ci sono invece tentativi anche di successo ai livelli inferiori: come BasicNet che ha rilanciato Superga, Robe di Kappa, K-Way. Ora Made in Italy Fund, gruppo di private equity, ha rilevato Ghoud e Autry, produttori di scarpe sportive di fascia alta. Nel tessile l’Italia ha 66 mila aziende e 470 mila addetti. Per il 54,2 per cento si tratta di microimprese con meno di 10 dipendenti e meno di due milioni di fatturato. In Francia le imprese sono 2 mila, per la metà piccole e medie, ed i dipendenti 60 mila. Ma appunto la finanza del lusso francese controlla quella italiana; e quei numeri spiegano perché.

 

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