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A che punto è la discussione parlamentare sulla riforma fiscale?

Sandro Brusco*

Sarà difficile vedere una riduzione della pressione fiscale, ma si può razionalizzare il sistema. Le proposte dei partiti

Anche se un po’ sottotraccia, i lavori della commissione parlamentare sulla riforma fiscale stanno procedendo. Dopo una serie di udienze, i partiti hanno depositato i documenti che descrivono le proprie proposte. Una proposta finale dovrebbe ora essere elaborata dalla commissione entro la fine di luglio. Sono, naturalmente, tempi soggetti alle abituali incertezze politiche. Inoltre, la proposta che uscirà verrà ulteriormente modificata nel dibattito parlamentare, i cui tempi non sono al momento chiari. C’è però abbastanza materiale per cercare di capire in che direzione potrebbe muoversi la riforma, quali saranno i cavalli di battaglia dei partiti e quali saranno i punti di compromesso possibili. Vale quindi la pena di provare a riassumere lo stato del dibattito.

La prima cosa da fare è abbassare le aspettative di riduzione della pressione fiscale, ammesso che qualcuno ne abbia. Anche se l’ammontare esatto dell’intervento non può essere esattamente determinato a priori, il documento presentato dal Pd parla di margini di manovra “da 2 a 3 miliardi nel 2022 e da 1 o 2 miliardi dal 2023”. Stiamo quindi parlando di grandezze tra lo 0,1% e lo 0,3% del pil, con una pressione fiscale superiore al  42%. Queste sono, d’altra parte, le cifre di cui si è sempre parlato. In altre parole, questa riforma non condurrà a un abbassamento della pressione fiscale che possa essere avvertito dalla cittadinanza. Non può che essere così, in una situazione in cui il debito pubblico e il deficit di bilancio sono altissimi e non esistono possibilità di organizzare consenso politico intorno a una riduzione della spesa corrente.  Se un qualche cambiamento positivo può accadere, sarà quindi nel campo della composizione del carico fiscale, più che del carico fiscale complessivo. In realtà, come vedremo, in alcune proposte non si esclude un aumento della pressione fiscale. 
Prima di iniziare la disanima delle proposte di ciascuna forza politica, due osservazioni su alcuni aspetti comuni a varie proposte. La prima riguarda la proposta di costituzionalizzare alcune parti (non è ben chiaro quali) dello Statuto del Contribuente, una legge approvata più di 20 anni fa e che dovrebbe garantire il contribuente contro pratiche abusive dell’amministrazione fiscale. La costituzionalizzazione è proposta da forze di varia estrazione, come Partito democratico, Italia viva, Forza Italia e Fratelli d’Italia. E’ ovviamente un processo che richiederebbe tempi più lunghi di una legge ordinaria di riforma fiscale. Non so che aspettative abbiano i proponenti. Il dato di fatto è che queste proposte di costituzionalizzazione tipicamente sono un modo per calciare la palla in tribuna ed evitare di fare il duro lavoro di costruire il consenso intorno a proposte difficili ma necessarie. 

Il caso rilevante più recente è stato quello della riforma dell’art. 81 della Costituzione, che avrebbe dovuto garantire il pareggio di bilancio in media sul ciclo economico, ossia deficit nei periodi di recessione e superavit nei periodi di ripresa. La riforma venne approvata nella primavera del 2012 a larghissima maggioranza. I suoi risultati sono stati inesistenti. Il Parlamento italiano ha continuato a comportarsi come si è sempre comportato, avvertendo come vincoli reali ai propri desideri di spesa in deficit solo la pressione dei mercati tramite lo spread e quello delle istituzioni europee. La costituzionalizzazione dello Statuto del Contribuente, se mai si farà, avrà probabilmente gli stessi inesistenti effetti. 

La seconda osservazione riguarda la necessità di intervenire sulla curva delle “aliquote marginali effettive”. Il termine “marginale” è riferito alla tassa che si applica sull’euro in più che si guadagna per dato livello di reddito (quindi non la media della tasse su tutto il reddito). Il termine “effettivo” si riferisce al fatto che occorre tenere conto non solo dell’aliquota marginale applicata all’euro in più; se l’euro in più fa perdere detrazioni che altrimenti si sarebbero potute usare, ciò va contato come aliquota effettiva. E’ noto che il “bonus 80 euro” ha prodotto una curva allucinante delle aliquote marginali effettive. Nella versione iniziale per certi livelli (relativamente bassi) di reddito l’aliquota marginale effettiva arrivava all’80%, grazie all’effetto di riduzione del bonus. Ora, dopo vari rimaneggiamenti, arriva comunque intorno al 60%. Praticamente tutti gli esperti ascoltati dalla commissione hanno rimarcato questa assurdità, e ora tutti i partiti dicono di voler intervenire. 

Poiché tutti, al tempo stesso, fischiettano allegramente fingendo che questa sia una piaga venuta dal cielo, è opportuno ricordare che tutti sono corresponsabili di questo delirio. A cominciare da Matteo Renzi, che il bonus ha introdotto, continuando con Lega e Movimento 5 stelle, che durante il Conte I non lo hanno abolito o cambiato, fino ai partiti che hanno sostenuto il Conte II, che hanno cambiato parzialmente ammontare e struttura del bonus e non hanno eliminato le aliquote marginali effettive altissime e non monotone. Comunque, cercando di essere più positivi, su questo terreno la commissione fiscale può produrre effettivamente un risultato positivo. Eliminare il bonus “ex-Renzi” e trasformarlo in detrazione da reddito da lavoro dipendente dovrebbe essere una riforma facile, che costa poco e che non alza la tasse quasi a nessuno. Speriamo che il buon senso prevalga.

Fatte queste osservazioni, partiamo quindi con la disamina, senza un ordine particolare.

Movimento 5 Stelle

 

Il M5S ha prodotto un papiro di 45 pagine, di qualità disomogenea. Molte parti sono di discussione e analisi, più che di proposta vera e propria. Tra le indicazioni operative ce ne sono due che spiccano. La prima è la riduzione della soglia per la “flat tax per gli autonomi”, che il M5S introdusse quando era al governo con la Lega, da 65 mila a 50 mila euro. La seconda, che ha attratto l’attenzione generale, è quella di rivedere le aliquote riducendone il numero e cambiando gli scaglioni: 23% fino a 25mila, 33% da 25 a 55mila e 43% oltre 55mila. Questo comporta un aumento dell’aliquota per chi guadagna tra 55mila e 75mila Non viene offerta una valutazione dell’impatto sul gettito fiscale. I contribuenti con reddito superiore a 55mila euro sono stati nel 2019 il 4,6% del totale, ma hanno pagato il 36,1% dell’imposta netta. E’ possibile che la riforma porti quindi a un aumento della pressione fiscale, anche se è opportuno attendere calcoli più accurati.
 


Fratelli d’Italia

 

E’ difficile individuare una chiara visione d’insieme nella proposta, che è costituita da un gran numero di piccoli interventi, tendenzialmente sensati. La cosa più grossa è la riduzione dell’aliquota del 38%, applicata tra 28 mila  e 55 mila euro, al 27%. Non viene offerta alcuna stima del costo di questa proposta, che immagino essere ingente. 
 

Partito Democratico

 

La proposta del Pd è articolata, ma il punto su cui il suo segretario Letta ha deciso di caratterizzare la proposta dal punto di vista propagandistico è quello dell’aumento dell’imposta sulle successioni. Tale aumento dovrebbe servire a finanziare una nuova spesa, la dote ai 18enni (e solo in modo parziale), e non a ridurre altre imposte, producendo quindi un aumento della pressione fiscale. La parte più interessante riguarda  la Tassazione agevolata del secodo percettore (Tasp) che dovrebbe limitare i danni prodotti dalla detrazione per coniuge sulla offerta di lavoro femminile. Il meccanismo proposto appare macchinoso, ma almeno introduce la riflessione su questo importante tema.


Lega

In uno dei capolavori del cinema italiano, il ragionier Ugo Fantozzi diede una memorabile e particolarmente abrasiva definizione del film “La corazzata Potemkin”. La stessa definizione può tranquillamente essere applicata alla proposta di riforma della Lega. Tra i vari punti portanti della proposta ne segnaliamo due un particolare, che danno il tenore al documento. Al punto 2 si dice la Lega “ritiene che la stagione dell’austerità vada archiviata coi fatti, non con le parole”. E al punto 5 si “mette in guardia dalla logica dell’urgenza, in base alla quale sono state giustificate scelte suicide per il paese come quella dell’austerità”. Inutile andare nello specifico, siamo di fronte al solito bengodismo all’italiana: la convinzione (che peraltro ha concretamente guidato l’azione del Conte I) che si possa spendere e spandere senza tema. Dalla Lega non verrà alcun contributo interessante.

 

Forza Italia

Niente da vedere, nel senso che Forza Italia sembra avere scelto di tenere le proprie carte coperte, ammesso ne abbia. Lo scarno documento, 6 pagine in tutto, parte con alcune affermazioni roboanti (“Il 2020 ha segnato un cambiamento radicale dal punto di vista socio-economico non solo in Italia, ma in tutto il globo”) o semplicemente grottesche (“Ormai non è più possibile misurare i redditi: possiamo a mala pena misurare i consumi”). Tutto questo per concludere con una lista della spesa con un livello di specificazione patetico. Per esempio, nel punto 5 si propone la riduzione “delle attuali aliquote Irpef e ridefinizione dei contenuti della base imponibile (15, 23, 33%)” senza nemmeno specificare gli scaglioni di reddito e senza discutere in alcun modo gli effetti sul gettito. Anche così riescono a infilare varie colossali sciocchezze, tipo la “flat tax incrementale”. 

 

Liberi e Uguali

 

Si possono condividere o meno le proposte di Liberi e Uguali, ma almeno il documento prodotto è chiaro e coerente. In sostanza, LeU propone di introdurre un’imposta patrimoniale ordinaria e di rivedere la curva delle aliquote Irpef usando una funzione matematica crescente. Nelle parole del documento “l’operazione dovrebbe avvenire senza aumentare il gettito rispetto alle imposte attualmente in vigore”. Questo significa diminuire l’imposizione sul reddito e sostituire il gettito che viene a mancare con imposizione sul patrimonio. Non sono idee necessariamente sbagliate (io personalmente preferirei ridurre la pressione fiscale, ma capisco che LeU abbia preferenze diverse) ma va ricordato che in Italia l’imposizione sul patrimonio è principalmente imposizione sugli immobili. Vista l’impopolarità di tale imposizione, è lecito dubitare che la proposta andrà da alcuna parte. 

 

Italia Viva

 

Confesso che ho trovato questa la proposta più interessante. Individua correttamente nella bassa partecipazione alla forza lavoro, soprattutto femminile, il principale problema che la riforma del fisco dovrebbe affrontare. Propone un sistema automatico di incentivi alla partecipazione, con sussidi ai redditi più bassi, modellato sulla Earned income tax credit statunitense (Eitc), esplicitamente citata. Propone anche “l’introduzione di incentivi fiscali temporanei sul margine estensivo per il secondo percettore di reddito all’interno del nucleo familiare”. Proposta da specificare meglio ma che va nella giusta direzione.  Non posso però resistere dal notare questo pezzo: “Tecnicamente occorre intervenire per modificare la curva delle aliquote marginali effettive: la curva italiana attuale è esattamente l’opposto di quella che la teoria descrive come la curva ottimale per incentivare l’offerta di lavoro’”. Assolutamente vero. Peccato si dimentichino di osservare che questo è l’effetto del “bonus 80 euro” di Renzi.

  
*Stony Brook University, New York.

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