la relazione annuale

Per Bankitalia la crescita può superare il 4 per cento. Centrali le riforme

Mariarosaria Marchesano

L'impatto del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul pil è pari a circa un punto percentuale all’anno nell’arco nei prossimi dieci anni, ha detto Visco. Ma la spinta decisiva viene delle riforme e dall'impostazione di un corretto rapporto tra stato e mercato

“Un Pnrr efficacemente eseguito, nella realizzazione degli investimenti come nell’attuazione delle riforme, potrebbe elevare la crescita potenziale annua dell’economia italiana di poco meno di un punto percentuale nel prossimo decennio consentendo di tornare a tassi di incremento del prodotto che la nostra economia non consegue da anni”. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle conclusioni finali alla consueta relazione annuale, traccia una potenziale traiettoria di uscita dell’economia italiana dalla crisi economica generata dal Covid, che ha provocato “la più grave recessione dal dopoguerra”, e invita a riconsiderare il rapporto tra stato e mercato in termini di complementarietà.

 

Nel 2021 il rimbalzo del pil italiano potrebbe essere superiore al 4 per cento visto che ci sono segnali di una normalizzazione della situazione sanitaria e di una riduzione dell’incertezza che stanno portando a un rilancio dell’attività produttiva. “L’impatto degli effetti della domanda – ha detto il governatore - tenuto conto dello stimolo all’accumulazione privata attivato dalle complementarietà con il capitale pubblico, potrà portare a un aumento del livello del pil tra i 3 e i 4 punti percentuali entro il 2026. Significativi effetti aggiuntivi, fino a 6 punti in un decennio, potranno derivare dalle riforme e dai piani di incentivo alla ricerca e all’innovazione”. Si arriva così a calcolare un contributo medio alla crescita del paese pari a circa un punto percentuale all’anno nell’arco nei prossimi dieci anni. 

 

Una spinta decisiva, secondo la Banca d’Italia, verrà dalla capacità di realizzare le riforme e dall’impostazione di un corretto rapporto tra stato e mercato. Su questo punto il messaggio del governatore Visco è centrale. E’ indubbio che - è in sintesi la premessa del suo ragionamento - la grave recessione generata dalla pandemia abbia ridato centralità all’azione dello stato, sia negli interventi di emergenza a favore di famiglie e imprese, sia nel disegno e nell’attuazione di una strategia per la ripresa e il rilancio dello sviluppo. E che l’ampiezza della risposta alla crisi abbia rinnovato il dibattito sul ruolo del settore pubblico nell’economia. “Non bisogna però confondere – osserva Visco - la necessità di uno stato più efficace nello svolgere le funzioni che già ora gli sono affidate con quella di estenderne i compiti. L’esperienza storica suggerisce che la produzione pubblica di beni e di servizi di mercato porta con sé rischi non trascurabili di ‘fallimento dello Stato’, soprattutto se l’impresa pubblica viene sottratta alla disciplina dei meccanismi concorrenziali o se non è accompagnata da regole e presidi istituzionali che ne garantiscano responsabilità e autonomia di gestione”.

 

Così per il governatore è fuorviante ragionare in termini di contrapposizione tra Stato e mercato, che sono invece complementari. Un’economia sana ha bisogno di entrambi: di buone regole, servizi pubblici di qualità e interventi in aree in cui i rendimenti sociali sono alti ma l’attività privata è insufficiente, così come di imprese dinamiche e innovative, in grado di valorizzare il lavoro ed essere premiate per la qualità della loro produzione. “Questa complementarità non si limita allo Stato e al mercato; abbraccia anche le molte organizzazioni che nel mondo contemporaneo, e sempre più nel nostro paese, agiscono senza fini di lucro, spesso grazie al lavoro volontario, per il perseguimento del benessere collettivo”. 

 

Il programma Next generation eu e il piano nazionale di ripresa e resilienza offrono la possibilità di migliorare il funzionamento dell’apparto pubblico e di stimolare l’iniziativa privata, dunque di modernizzare l’economia, attraverso interventi per 235 miliardi di euro. Ma bisogna spendere bene i soldi, è il monito ribadito dalla Banca d’Italia. Soprattutto, c’è bisogno di capacità progettuale “perché l’erogazione dei fondi europei è subordinata alla disponibilità di evidenze sullo stato di avanzamento degli interventi e sugli obiettivi raggiunti, frutto di un monitoraggio continuo”. 

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