Rocca Salimbeni, sede centrale di Mps (foto Ansa)

Mps al bivio. Ecco le prossime mosse

Marco Cecchini

Rinviare la privatizzazione o aumentare la dote? Bruxelles attende Draghi

Dalle parti di Rocca Salimbeni non sorridono nemmeno più. Perché come dice la canzone “anche un sorriso può fare rumore”. E di Mps meno se ne parla e meglio è. L’emergenza Covid (solo quella?) ha fatto calare il silenzio sulle sorti del quarto gruppo bancario italiano. Neppure l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi ha riacceso i riflettori sull’istituto, punta dell’iceberg di un sistema del credito con parecchi annosi problemi. Come ha osservato Ignazio Angeloni, il Pnrr “sorvola con leggerezza i problemi del sistema del credito”. Si dirà: non è affar suo. Ma anche il Def non ha chiarito la politica bancaria del governo. Il bubbone senese è sempre li e la sabbia continua a scendere nella clessidra. 

L’appuntamento col destino di Mps è a fine anno, data “ufficiosa” fissata dalla Commissione (quella ufficiale è “strictly confidential” dicono a Bruxelles) entro la quale riprivatizzare l’istituto dopo averne autorizzato la nazionalizzazione per salvarla dal fallimento nel 2017. L’altra data, quella del varo di un aumento di capitale entro fine 2020, è passata invano. Intanto la condizione di Mps peggiora: i ricavi sono crollati ai 2,9 miliardi previsti quest’anno, la quota di Npl sul circolante continua a salire nonostante la vendita di un massiccio pacchetto di crediti deteriorati alla società pubblica Amco. Gli analisti stimano che la banca avrebbe bisogno di una iniezione di capitale di 2-2,5 miliardi, i due terzi dei quali dovrebbero essere sottoscritti dallo stato. Ma soprattutto non si vede all’orizzonte un compratore per il più antico istituto del mondo. 
Per accollarsi la zavorra di Mps sulle spalle, qualunque buyer vuole una dote generosa da parte del venditore stato. A lungo si è sperato in Unicredit. Uscito di scena il ceo francese Jean Pierre Mustier, fautore di una crescita tutta esterna per il gruppo milanese, si pensava che l’arrivo al suo posto dell’italiano Andrea Orcel potesse cambiare le cose. Ma Orcel non intende pregiudicare di un centesimo la posizione finanziaria della sua banca e alza la soglia della dote. 

Nel frattempo guarda sempre più in altre direzioni, in particolare a quello che si sta muovendo lungo la direttrice Mediobanca-Generali dopo le recenti mosse di Caltagirone e Del Vecchio, azionisti forti del Leone. Anche l’arrivo alla presidenza dell’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dimessosi in fretta e furia dall’incarico parlamentare per correre a Milano, per ora non ha spianato la strada a un accordo tra Tesoro e Unicredit. Il quadro si complica ulteriormente se si considera che il M5s ha fatto sapere di essere contrario alla privatizzazione. In questo contesto Mps rischia di diventare l’Alitalia delle banche.
Non molte settimane fa Mario Draghi, nella sua qualità di presidente dei consulenti del G30, ha dato alle stampe uno studio che lancia l’allarme sul tema esplosivo delle insolvenze. Sa che gli Npl sono destinati a crescere creando problemi agli istituti finanziari, in particolare quelli italiani. 

Il dossier Mps è nelle mani del direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, sotto la supervisione del ministro dell’Economia e dello stesso premier. Questi uomini hanno davanti a se due strade. La prima, quella della richiesta di un prolungamento dei termini per la cessione al mercato, è gia stata evocata in Parlamento e certo non avrebbe un ritorno positivo d’immagine, anche considerando i ruoli ricoperti dal premier in passato. La seconda pone un problema di carattere finanziario. La nazionalizzazione è già costata più di 5 miliardi allo stato, l’aumento di capitale ne aggiungerebbe almeno altri due e poi ci sarebbe la dote. Sia l’una che l’altra soluzione andrebbero comunque sottoposte al vaglio della Commissione europea sia sotto il profilo del rispetto degli accordi che degli aiuti. Da Bruxelles fanno sapere che con il Tesoro sono in corso contatti di routine e restano abbottonati. Fonti di Bruxelles aggiungono tuttavia che sul nodo di un eventuale prolungamento sta a Roma prendere l’iniziativa e avanzare una proposta.