Il fallimento di Parisi all'Anpal in un dato: 423 su 1.650.000

Luciano Capone

Su 1 milione e 650 mila beneficiari di Rdc risultano solo 423 Assegni di ricollocazione (0,025%): è questo lo stato comatoso delle politiche attive in Italia. Ma il ministro Orlando non ha ancora deciso cosa fare

Nel suo primo discorso al Senato del 17 febbraio, presentando le linee programmatiche del suo governo, il presidente del Consiglio Mario Draghi disse che “centrali sono le politiche attive del lavoro” e “affinché esse siano immediatamente operative è necessario migliorare gli strumenti esistenti, come l’Assegno di ricollocazione (Adr), rafforzando le politiche di formazione dei lavoratori”.

 

La nota periodica sul Reddito di cittadinanza (Rdc) appena pubblicata dall’Anpal, l’agenzia guidata da remoto in Mississippi dal grillino Mimmo Parisi, mostra lo stato pietoso delle politiche attive in Italia. Per la prima volta, l’Anpal pubblica anche i dati sull’Assegno di ricollocazione (lo strumento citato da Draghi) e i numeri mostrano un quadro davvero imbarazzante. Su una platea di 1 milione e 650 mila percettori di Reddito di cittadinanza, risultano appena 969 assegni di ricollocazione (lo 0,058%) di cui meno della metà attivati: 423 (e cioè lo 0,025%).

 

Ma il fatto che appena 423 persone su 1 milione e 650 mila abbiano attivato l’Assegno di ricollocazione non deve trarre in inganno. Non vuol dire affatto che questi 423 individui abbiano trovato un’occupazione, perché di questi assegni 359 sono ancora attivi. E i restanti 64 sono probabilmente scaduti. Al momento, secondo quanto appreso dal Foglio dopo aver contattato diverse fonti, non risulta che alcun Assegno di ricollocazione si sia trasformato in un contratto di lavoro. Non a caso, l’Anpal nella sua nota periodica non aveva sinora riportato alcuna cifra sull’Assegno di ricollocazione e tuttora non segnala quanti rapporti di lavoro sono stati prodotti. In ogni caso, stiamo parlando di numeri che in proporzione ricordano le segnalazioni degli eventi avversi dopo le vaccinazioni. Su 1,65 milioni di persone che hanno ricevuto il trattamento delle politiche attive, solo in qualche centinaia si manifesta un raro effetto avverso come l’attivazione dell’Assegno di ricollocazione e, in nessun caso, risulta un evento avversi grave come un nuovo posto di lavoro. Per parafrasare il linguaggio della farmacovigilanza, ci sono aspetti da indagare che suggeriscono una rara correlazione tra Reddito di cittadinanza e politiche attive, ma non è stato dimostrato alcun nesso di causalità con l’occupazione. Neppure come evento raro.

 

Questi dati, diffusi dalla stessa Agenzia nazionale per le politiche attive, mostrano da soli il fallimento completo dell’Anpal e della cosiddetta “fase 2” del Reddito di cittadinanza. Perché l’Assegno di ricollocazione doveva essere lo strumento principe per trovare occupazione ai beneficiari del Rdc. L’Anpal lo definisce una “misura intensiva a supporto della ricollocazione dei non occupati nel mercato del lavoro”. In origine l’Assegno di ricollocazione era stato introdotto nel 2015, nell’ambito del riordino delle politiche attive, come strumento destinato ai disoccupati percettori della Naspi perché, per come è strutturato, serve proprio a far trovare velocemente il lavoro a chi ha da poco è disoccupato e quindi è più facilmente ricollocabile. In maniera del tutto insensata, l’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio destinò l’Adr esclusivamente ai beneficiari di Rdc soggetti al Patto per il lavoro, escludendo così dallo strumento i percettori di Naspi. L’obiettivo politico era concentrare tutti gli strumenti sul Reddito di cittadinanza, la misura che, dopo aver abolito la povertà, grazie alla rivoluzione delle politiche attive affidata a Mimmo Parisi che avrebbe sconfitto anche la disoccupazione con navigator e app per incrociare domanda e offerta. L’esito è disastroso. L’Assegno di ricollocazione è stato tolto alla fascia di persone a cui sarebbe maggiormente servito e non è stato dato ai percettori di Reddito di cittadinanza. Vedere, a distanza di due anni, 423 assegni attivati su 1.650.000 percettori di Rdc soggetti al Patto per il lavoro vuol dire che l’Assegno di ricollocazione non esiste più. A differenza della povertà, è stato abolito davvero.

 

Questo fallimento è solo un tassello di un mosaico più desolante. L’Anpal è guidata da un signore che vive negli Stati Uniti, dove svolge un secondo lavoro per l’Università del Mississippi incompatibile con lo statuto dell’Anpal. E si reca oltreoceano, dove ha casa e doppio lavoro, a carico dei contribuenti italiani che pagano rimborsi spese (su cui sta indagando la Corte dei Conti) che fanno raddoppiare il costo dello stipendio. In pratica, il governo lo paga il doppio per svolgere da lontano un mezzo lavoro fatto male. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando pare ancora indeciso sul da farsi. Prima pensava di liquidare tutta l’Anpal, poi ha cercato di sostituire Parisi ricollocando una figura di partito come l’ex sottosegretario all’editoria Andrea Martella. Ma Palazzo Chigi ha stoppato la nomina, perché il profilo non è in linea con le competenze richieste. Ma intanto Parisi resta al suo posto mentre, di fronte a una profonda crisi occupazionale, il paese resta senza politiche attive.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali