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È l’ora dell’ambientalismo efficace, senza utopie e propaganda

Umberto Minopoli

È sempre più difficile tradurre in pratica, in politiche concrete e misure di governo, l’overflow delle declamazioni ecologiche. Da Draghi è lecito aspettarsi un cambio di approccio

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Draghi avrebbe dichiarato, a Grillo, una consonanza sul tema ecologico. Non è difficile dirlo oggi. Dopo le battaglie perse (Tav, Tap, Ilva, trivelle, tasse “verdi”) l’ecologismo, anche quello del garante, si limita ormai alla declamazione di un mantra. Nella versione catastrofista e salvifica che è rituale ormai dell’intero spettro politico. Enfatico nei toni, nei proclami, nella perentorietà dei propositi, ma inefficace nelle realizzazioni.

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Draghi avrebbe dichiarato, a Grillo, una consonanza sul tema ecologico. Non è difficile dirlo oggi. Dopo le battaglie perse (Tav, Tap, Ilva, trivelle, tasse “verdi”) l’ecologismo, anche quello del garante, si limita ormai alla declamazione di un mantra. Nella versione catastrofista e salvifica che è rituale ormai dell’intero spettro politico. Enfatico nei toni, nei proclami, nella perentorietà dei propositi, ma inefficace nelle realizzazioni.

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È sempre più difficile tradurre in pratica, in politiche concrete e misure di governo, l’overflow delle declamazioni ecologiche. Da Draghi è lecito aspettarsi un cambio di approccio: un ecologismo meno declamatorio e più pragmatico, più attento agli investimenti ambientali (energia, mobilità, rifiuti, territorio), ma attento allo stesso tempo alla loro resa e agli effetti sulla crescita e sul pil. Dal nuovo governo ci si dovrebbe aspettare, innanzitutto, la rimozione dell’esasperante limite delle politiche ambientali: stanziare risorse, autorizzare opere ecologiche per poi bloccarle. Quasi sempre per opposizioni motivate da ragioni ecologiche. Un incredibile corto circuito. L’elenco di opere ecologiche (vi insiste spesso, su queste colonne Chicco Testa) bloccate in Italia dal fenomeno nimby o da zelo burocratico è imbarazzante: centrali eoliche, solari, a biomassa, impianti per i rifiuti (ora si aggiunge, da ultimo, il deposito per quelli radioattivi). L’ecologismo, specie in Italia, è corroso da un limite ideologico paralizzante: il conservazionismo, l’idea farlocca secondo cui difesa dell’ambiente significa intoccabilità, opposizione a ogni cambiamento, opera, infrastruttura. Pensiamo ai rifiuti. Sono diventati, in certe parti d’Italia, come le iconiche mucche della religione indù: vanno contemplati in strada, ma non toccati e trattati. Ecco un tema ambientale su cui è urgente si applichi il pragmatismo di Draghi. E’ unanime il consenso alla transizione ecologica (quella per cui Grillo chiede l’istituzione di un ministero). Per tutti essa si identifica, essenzialmente, con la transizione energetica (anche se in realtà sarebbero, logicamente, due cose distinte) e con la decarbonizzazione. Da realizzare, tra l’altro, entro il 2030. Qui la contraddizione tra i proclami ecologici e la realtà del paese può farsi catastrofica. Per l’ecologismo corrente, questo proposito significherebbe sostituzione degli impianti energetici fossili (anche quelli alimentati a gas), tout court, con impianti rinnovabili. Tecnicamente infattibile ed economicamente catastrofico. Per un paese privo di energia nucleare e che poggia sulla quasi totale dipendenza dal gas e dal petrolio importati (e che si rifiuta, perfino, con il no alle trivelle, di sfruttare la quota limitata di risorse fossili nazionali) sostituire gli impianti fossili significherebbe solo aumentare le importazioni di energia, mettere in ginocchio il settore oil&gas (leva di crescita e occupazione) e peggiorare la bolletta estera del paese. Tutto debito cattivo, insomma. Un ecologismo pragmatico e fattivo deve cominciare a distinguere la decarbonizzazione dall’idea di fuoriuscita immediata dai combustibili fossili.

 

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La via realistica per decarbonizzare senza impoverire il mix enegetico del paese, condizione per la crescita del pil, è di puntare sulle tecnologie (stoccaggio dell’energia, impianti di cattura della CO2, penetrazione crescente dell’idrogeno, estensione degli usi elettrici, misure di antinquinamento nella mobilità, negli usi domestici ecc.). Gli obiettivi ecologici, se entrano in conflitto con il principio della varietà e della ricchezza delle fonti energetiche del paese, producono solo impoverimento. Non un ambiente più sano. Uno scoglio immediato e concreto, per Draghi, di malinteso obiettivo ecologico, sono le politiche per l’idrogeno nel Recovery plan. Sacrosante, ma declinate in modo ideologico, irrealistico e, probabilmente, inutili ai fini di decarbonizzare, in tempi non biblici, parti della nostra energia. Tagliare fuori dalla ricerca e dagli incentivi, ad esempio, l’idrogeno prodotto da idrocarburi (idrogeno blu ) meno complesso, meno costoso e più pronto all’uso, è un non senso tecnologico ed economico: un caso esemplare, per le risorse del Recovery plan, di “debito cattivo”. Serve al paese un Draghi ecologista e pragmatico. Dopo trent’anni di predicazione ambientalista, ma di paralisi realizzativa, che ci consegna un paese con più emissioni, più degrado ambientale e più dipendenza energetica. E’ tempo, finalmente, dell’ambientalismo efficace. Quello del debito buono.

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