PUBBLICITÁ

Ripartire dalle opere incompiute

Massimiliano Atelli e Giacinto della Cananea

Infrastrutture pubbliche da finire o no: c'è bisogno di scegliere, di colmare le lacune normative e di avviare per davvero il dibattito pubblico. L'occasione dello schema di dpcm depositato in Parlamento 

PUBBLICITÁ

Il paradosso principale – non l’unico – delle opere pubbliche in Italia è che ve n’è un gran bisogno, dalle ferrovie alle autostrade e alle comunicazioni elettroniche, ma moltissime restano incompiute. Le sole grandi opere incompiute sono ben 546, secondo il censimento relativo al 2018 operato dal Sistema informatico di monitoraggio delle opere incompiute (istituito nel 2011 dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). Inoltre, Mose a parte, sono costate già 4 miliardi di euro. Si stima che ne servirebbero altri 1,9 per concluderle.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Il paradosso principale – non l’unico – delle opere pubbliche in Italia è che ve n’è un gran bisogno, dalle ferrovie alle autostrade e alle comunicazioni elettroniche, ma moltissime restano incompiute. Le sole grandi opere incompiute sono ben 546, secondo il censimento relativo al 2018 operato dal Sistema informatico di monitoraggio delle opere incompiute (istituito nel 2011 dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). Inoltre, Mose a parte, sono costate già 4 miliardi di euro. Si stima che ne servirebbero altri 1,9 per concluderle.

PUBBLICITÁ

 

Questi dati sollecitano una riflessione, anzitutto perché dietro un’opera pubblica incompiuta, c’è sempre una “storia sbagliata”: un’idea bislacca o un progetto politico fallito oppure un tecnico incapace, o ancora tutte queste cose insieme. Detto ciò, bisogna però dire anche che non tutte le opere meritano di essere concluse. Alcune non dovevano essere neppure iniziate, altre sono divenute nel frattempo inutili, per cui le risorse scarse disponibili vanno riservate solo alle opere che conservano utilità e possono essere portate a compimento. Va perciò salutato con favore il fatto che sia finalmente arrivato in Parlamento lo schema di decreto del presidente del Consiglio che individua gli interventi infrastrutturali caratterizzati da particolare complessità sul piano progettuale o su quello esecutivo. L’elenco delle opere è completato dalla nomina dei commissari straordinari incaricati di realizzarle ed è questo che ha causato il ritardo, certo non lieve. Ciò malgrado, il decreto c’è ed è sottoposto all’esame delle Camere.

 

PUBBLICITÁ

Proprio in vista dell’indispensabile valutazione parlamentare, e dell’interesse che le opere hanno per l’intero paese, vanno segnalate tre grandi questioni. La prima riguarda la scelta delle opere da finanziare in vista del completamento. Dal momento che la “coperta” finanziaria è sempre corta, è indispensabile distinguere le opere necessarie e realizzabili dalle altre, in modo da concentrare le risorse disponibili solo su queste ultime. Ma a chi compete distinguere le une dalle altre? Il Codice degli appalti richiede alle amministrazioni nazionali e locali di redigere e pubblicare un elenco opere incompiute, ai fini del loro completamento o della demolizione. Ma la disposizione è così vaga da lasciare la porta aperta a tutte le soluzioni, consentendo di spacciare per completabile un’opera per cui non si sarebbe dovuto mai aprire neppure il primo cantiere. La seconda questione è stata sollevata qualche giorno fa, proprio sul Foglio, da Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nella precedente legislatura. Essa riguarda la scelta del metodo dei commissari straordinari. Il testo governativo su cui il Parlamento è chiamato a pronunciarsi rispecchia l’impostazione di fondo del decreto-legge “sblocca cantieri” del 2019. Né con quel decreto, né con le norme successive si è cercato di rimuovere le cause dei ritardi, con interventi ad ampio raggio, riguardanti le pubbliche amministrazioni soprattutto nei territori dove vi è più bisogno di opere che assicurino la sicurezza e la speditezza della circolazione. E’ una lacuna da colmare al più presto.

 

La terza questione concerne l’accettazione delle opere pubbliche da parte delle comunità più direttamente interessate dalla loro realizzazione. La Francia si è da molti anni adoperata per promuovere e praticare il dibattito pubblico. Altri paesi l’hanno seguita, inclusa l’Italia, grazie al buon regolamento emanato nel 2018 dal governo Gentiloni. Quel regolamento è però rimasto inapplicato, perché non è ancora stata costituita la commissione cui spetta di assicurare l’ordinato svolgimento del dibattito pubblico e di far sì, soprattutto, che le amministrazioni lo tengano nel debito conto. Anche questa, purtroppo, è un’opera incompiuta.

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ