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Pivot Del Vecchio

Mariarosaria Marchesano

Il patron di Luxottica sale in Mediobanca, punta le Generali e tiene d’occhio Mps

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Vale quasi 1 miliardo di euro, agli attuali prezzi di mercato, la partecipazione del 13,2 per cento conquistata da Leonardo Del Vecchio in Mediobanca a suon di rastrellamenti di azioni in Borsa. E vale oltre 700 milioni di euro il pacchetto di azioni Generali (pari al 3,1 per cento del capitale) accumulato dalla Delfin, la cassaforte lussemburghese che fa capo al fondatore di Luxottica. Un investimento per complessivi 1,7 miliardi realizzato, in teoria, dall’ottancinqueenne imprenditore di Agordo per diversificare la sua ricchezza in banche e società quotate, attività che può offrire rendimenti più elevati rispetto alla produzione di occhiali. Ma Del Vecchio è anche colui che ha detto senza peli sulla lingua che Mediobanca e Generali devono essere dotate di un azionariato stabile e attento alle esigenze dell’Italia. Ecco perché gli ultimi acquisti di titoli di Piazzetta Cuccia, avvenuti i primi di febbraio, non sono passati inosservati nonostante i riflettori siano tutti puntati sulla crisi politica.

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Vale quasi 1 miliardo di euro, agli attuali prezzi di mercato, la partecipazione del 13,2 per cento conquistata da Leonardo Del Vecchio in Mediobanca a suon di rastrellamenti di azioni in Borsa. E vale oltre 700 milioni di euro il pacchetto di azioni Generali (pari al 3,1 per cento del capitale) accumulato dalla Delfin, la cassaforte lussemburghese che fa capo al fondatore di Luxottica. Un investimento per complessivi 1,7 miliardi realizzato, in teoria, dall’ottancinqueenne imprenditore di Agordo per diversificare la sua ricchezza in banche e società quotate, attività che può offrire rendimenti più elevati rispetto alla produzione di occhiali. Ma Del Vecchio è anche colui che ha detto senza peli sulla lingua che Mediobanca e Generali devono essere dotate di un azionariato stabile e attento alle esigenze dell’Italia. Ecco perché gli ultimi acquisti di titoli di Piazzetta Cuccia, avvenuti i primi di febbraio, non sono passati inosservati nonostante i riflettori siano tutti puntati sulla crisi politica.

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Il fatto è che è mentre a Roma si sta formando un nuovo governo sotto la guida dell’ex presidente della Bce, Mario Draghi, nel mondo della finanza si sta giocando una partita decisiva: la scalata alla banca d’affari più importante del paese che, a sua volta, è la principale azionista delle Assicurazioni Generali. Una scalata solitaria cominciata da Del Vecchio a maggio del 2019 quando a sorpresa acquistò una quota del 7 per cento del capitale fino a portarsi all’11,9 per cento a fine 2020. Poi, nei giorni scorsi, ha incrementato ulteriormente la sua partecipazione fino al 13,2 per cento.

 

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La Delfin, infatti, ha rastrellato 11 milioni di titoli – per un controvalore di 80 milioni – che rappresentano un altro mattone per arrivare a costruire una posizione di dominio che in Mediobanca non si era mai vista prima in capo a un singolo investitore. E se la Bce ha già autorizzato Del Vecchio ad arrivare sotto il tetto del 20 per cento, c’è da giurarci che l’imprenditore ci arriverà un passo alla volta. Cosa questo comporti è difficile dirlo. Mediobanca è sempre meno quel salotto buono del capitalismo italiano voluto da Enrico Cuccia e sempre più una merchant bank – con attività diversificate nelle gestioni patrimoniali – attraverso cui passano le più grandi operazioni finanziarie, compresa quella della privatizzazione di Mps (Piazzetta Cuccia è advisor del Tesoro insieme con Credit Suisse). Finora la temuta ingerenza nella governance non c’è stata perché Del Vecchio, dopo qualche momento iniziale di frizione, ha poi appoggiato la conferma di Alberto Nagel alla guida dell’istituto, anche se c’è chi osserva che potrebbe cambiare atteggiamento se i livelli di redditività della banca dovessero mostrare segnali di cedimento. Ma il suo interesse oggi non appare tanto concentrato sulla gestione ordinaria della merchant bank quanto sulle potenzialità che derivano dall’intreccio azionario con Generali, di cui Mediobanca detiene il 13 per cento, e di cui Del Vecchio è il terzo socio dopo Francesco Gaetano Caltagirone.

 

Come si spiegherebbe, altrimenti, la scalata a Piazzetta Cuccia? Che senso avrebbe – questo è il ragionamento che fa più di un analista – arrivare a detenere il 20 per cento delle azioni se non quella di acquisire una tale posizione di forza da poter imprimere una svolta nell’indirizzo strategico della banca e, eventualmente, spingere nella direzione di un’operazione straordinaria con Generali che è da sempre nel mirino dei francesi? L’ipotesi troverebbe terreno fertile in una fase in cui il governo italiano, come altri paesi europei, è sempre più incline a proteggere società che hanno una valenza strategica attraverso l’applicazione della golden share. Ma nessuno conosce i piani di Del Vecchio, che fondendo la sua Luxottica con Essilor ha dimostrato di saper trattare alla pari proprio con i francesi. Una cosa, però, è certa: se nascerà un governo Draghi troverà in qualche modo Del Vecchio sulla sua strada, deciso com’è a opporsi al matrimonio tra Mps e Unicredit di cui pure è azionista rilevante.

 

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