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La privatizzazione va avanti o si ferma? Gli effetti della crisi su Mps

Mariarosaria Marchesano

Cessione a Unicredit, aggregazione pubblica o piano “stand alone”? La crisi di governo complica una situazione già complicata

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“Il consolidamento bancario è opportuno e in alcuni casi necessario”, ha detto ieri il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, ricordando anche il monito che su questo tema arriva dai regolatori europei. Ma è un dato di fatto che la crisi di governo rischia di rallentare il processo di privatizzazione del Montepaschi e, indirettamente, di inibire il risiko che sullo scacchiere del credito si era avviato. Questo perché la crisi di Palazzo Chigi potrebbe portare al blocco delle attività del Mef e anche perché in questi casi sorge la classica questione di opportunità politica e cioè che a benedire un’operazione strategica come la dismissione di una banca  debba essere un’eventuale nuova maggioranza. Ufficialmente, le cose vanno avanti spedite con i consulenti di Mps, Mediobanca e Credit Suisse che si apprestano ad aprire la data room per sondare tutti i potenziali partner (oltre a Unicredit), ma dietro le quinte il clima è di traccheggiamento generale tra il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, deciso ad andare fino in fondo sulla strada dell’uscita dal capitale di Siena e il Movimento 5 Stelle, che potrebbe approfittare del caos nell’esecutivo per rendere più incisiva la sua posizione contraria alla privatizzazione e sostenitrice di una soluzione in mani pubbliche, magari nel quadro di una fusione con PopBari e Carige. 

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“Il consolidamento bancario è opportuno e in alcuni casi necessario”, ha detto ieri il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, ricordando anche il monito che su questo tema arriva dai regolatori europei. Ma è un dato di fatto che la crisi di governo rischia di rallentare il processo di privatizzazione del Montepaschi e, indirettamente, di inibire il risiko che sullo scacchiere del credito si era avviato. Questo perché la crisi di Palazzo Chigi potrebbe portare al blocco delle attività del Mef e anche perché in questi casi sorge la classica questione di opportunità politica e cioè che a benedire un’operazione strategica come la dismissione di una banca  debba essere un’eventuale nuova maggioranza. Ufficialmente, le cose vanno avanti spedite con i consulenti di Mps, Mediobanca e Credit Suisse che si apprestano ad aprire la data room per sondare tutti i potenziali partner (oltre a Unicredit), ma dietro le quinte il clima è di traccheggiamento generale tra il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, deciso ad andare fino in fondo sulla strada dell’uscita dal capitale di Siena e il Movimento 5 Stelle, che potrebbe approfittare del caos nell’esecutivo per rendere più incisiva la sua posizione contraria alla privatizzazione e sostenitrice di una soluzione in mani pubbliche, magari nel quadro di una fusione con PopBari e Carige. 

 

Tra l’altro, l’attuale fase di incertezza gioca anche a favore di un’ambizione mai sopita ai piani alti della banca senese che è quella di farcela da sola con un piano cosìddetto “stand alone” che, sotto la guida dell’amministratore delegato Guido Bastianini, proceda con un congruo aumento di capitale e un’operazione di rilancio industriale. Il problema è rappresentato dai tempi poiché entro fine gennaio Mps dovrebbe in teoria sottoporre il capital plan alla Bce per poi confrontarsi con la Dg Comp sulla questione degli aiuti di stato.  Ma questa tabella di marcia appare ormai anacronistica alla luce di uno scenario politico che potrebbe rimettere tutto in discussione. La percezione degli osservatori che stanno seguendo queste partite è che ci sono pochi punti fermi, tra i quali la ricerca del nuovo ceo da parte di Unicredit che si sta avvicinando al rush finale a prescindere se si farà o meno il deal con Siena. Hanno colpito, per esempio, le dichiarazioni del ceo di Unipol, Carlo Cimbri, il quale, pur prendendo atto della necessità del consolidamento bancario, ha affermato che le fusioni non sono una panacea per risolvere i problemi perché molto dipende da come sono strutturate e da quanto risulta essere competitiva la nuova entità. Parole sante dette da un operatore di mercato, se non fosse che poco più di un mese fa lo stesso Cimbri si era mostrato aperto alla possibilità di un’aggregazione tra Bper, di cui Unipol è azionista di riferimento, e Banco Bpm. Ma adesso questa prospettiva, che in Borsa veniva data quasi per scontata, sembra aver perso concretezza, anche se, avverte un’analisi di Banca Imi-Intesa Sanpaolo, la fusione dovrebbe avvenire nel 2021 per poter beneficiare della trasformazione delle Dta in crediti d’imposta che rappresenterebbe una significativa creazione di valore sia per gli azionisti di Banco Bpm che per quelli di Bper.E’ possibile che Cimbri stia prendendo in esame il dossier Mps? La maggioranza degli analisti tende a escludere che esistano per il Monte opzioni alternative a Unicredit che abbiano basi di concretezza. Una parte minoritaria ritiene, invece, che altri soggetti, anche esteri, potrebbero essere sondati dai consulenti del Monte. Tra questi c’è la francese Crédit Agricole, sempre molto attenta all’Italia, ma che è impelagata nell’opa sul Credito Valtellinese che si sta complicando mentre si intensificano i rumors su una controfferta in arrivo da parte di un altro soggetto. Ma questa è un’altra storia.

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