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editoriali

Salvare il Recovery italiano dal rischio fuffa

redazione

Bene su digitale e infrastrutture, ma su energia e trasporti servono idee e mercato

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C’è un aspetto incoraggiante, a voler apprezzare i paradossi, nei punti deboli del Recovery plan italiano. A rincuorarci è che quei punti erano deboli già da prima di questa crisi e la soluzione alle loro debolezze non poteva essere trovata per magia neanche grazie all’improvvisa disponibilità di risorse dovuta al provvidenziale indebitamento comune degli europei. Giustizia e Pubblica amministrazione devono rimettersi a funzionare e per quanto si possa dire che meritassero maggiori risorse non c’è dubbio che il problema che le riguarda vada affrontato con riforme a costo zero. Serve un governo e serve la volontà politica, e su questo sospendiamo il giudizio. Con il nostro Recovery plan dovremo convivere nei prossimi anni. Un trasferimento statale o un investimento pubblico non sono mai neutrali e sempre comportano effetti anche nella regolazione, ma per il piano europeo questo aspetto è ancora più forte di quello creato da interventi come quelli della legge di Stabilità, perché l’Europa, con quella che è stata la prima emissione di una forma di debito comunitario, ha cambiato il suo modo di operare.

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C’è un aspetto incoraggiante, a voler apprezzare i paradossi, nei punti deboli del Recovery plan italiano. A rincuorarci è che quei punti erano deboli già da prima di questa crisi e la soluzione alle loro debolezze non poteva essere trovata per magia neanche grazie all’improvvisa disponibilità di risorse dovuta al provvidenziale indebitamento comune degli europei. Giustizia e Pubblica amministrazione devono rimettersi a funzionare e per quanto si possa dire che meritassero maggiori risorse non c’è dubbio che il problema che le riguarda vada affrontato con riforme a costo zero. Serve un governo e serve la volontà politica, e su questo sospendiamo il giudizio. Con il nostro Recovery plan dovremo convivere nei prossimi anni. Un trasferimento statale o un investimento pubblico non sono mai neutrali e sempre comportano effetti anche nella regolazione, ma per il piano europeo questo aspetto è ancora più forte di quello creato da interventi come quelli della legge di Stabilità, perché l’Europa, con quella che è stata la prima emissione di una forma di debito comunitario, ha cambiato il suo modo di operare.

 

Da qui in avanti la politica economica diventerà un esercizio di gestione di questo grande progetto. L’Italia trova un terreno fertile dove già esistono esperienze sulle quali innestare le maggiori risorse, come nello sviluppo digitale delle imprese (che è il cuore della Transizione 4.0) e forse, pur con tutti i dubbi sull’app IO e l’identità digitale, anche nei rapporti fra stato e cittadini, tra cui le esperienze più avanzate sono quelle in campo fiscale. Lo stesso vale per alcuni investimenti infrastrutturali. Dove c’è già esperienza consolidata, come nel caso dell’alta velocità ferroviaria e dell’intermodalità, si può immaginare che i tempi e i modi delle realizzazioni verranno rispettati. In altri settori delle infrastrutture le garanzie sono minori come lo sono per gli interventi di miglioramento delle aree urbane e dei trasporti locali. Pericolo fuffa sulla transizione verso nuove forme di energia, sia per le grandi produzioni (si cita sempre l’acciaio) sia per i trasporti. L’anti fuffa si chiama mercato e costringerà, per ovvie ragioni di competitività, a indirizzare i processi di riconversione verso logiche industriali solide.

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