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editoriali

Il deposito delle scorie nucleari serve eccome

redazione

Un progetto troppo a lungo fermo. E un’occasione economica e tecnologica

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Le aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale per i rifiuti nucleari e il relativo Parco tecnologico sono 67 in sette regioni. Lo certifica la Carta pubblicata ieri dalla Sogin su indicazione dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente. La Carta era, in realtà, pronta da almeno sei anni, bloccata nei cassetti per timore dei malcontenti che avrebbe potuto suscitare e delle possibili conseguenze elettorali. Come da copione, le reazioni ci sono state, da parte di esponenti di tutte le forze politiche. Ecco: sarebbe meglio capire prima di protestare. Il deposito dovrà ospitare le scorie delle vecchie centrali nucleari, attualmente detenute in depositi temporanei oppure all’estero, e quelle che continuano a essere prodotti da processi industriali, medico-ospedalieri o dalle attività di ricerca. I continui ritardi nell’identificazione del sito erano talmente grotteschi da aver indotto la Commissione europea ad aprire, lo scorso ottobre, una procedura di infrazione. Peraltro, la partita è solo cominciata: la Carta è solo il primo passo. Se verranno rispettati i tempi (cosa molto improbabile) il documento resterà in consultazione per due mesi. Nei quattro mesi successivi, Sogin dovrà organizzare un seminario nazionale per fornire i dettagli del progetto alle aree potenzialmente interessate.

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Le aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale per i rifiuti nucleari e il relativo Parco tecnologico sono 67 in sette regioni. Lo certifica la Carta pubblicata ieri dalla Sogin su indicazione dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente. La Carta era, in realtà, pronta da almeno sei anni, bloccata nei cassetti per timore dei malcontenti che avrebbe potuto suscitare e delle possibili conseguenze elettorali. Come da copione, le reazioni ci sono state, da parte di esponenti di tutte le forze politiche. Ecco: sarebbe meglio capire prima di protestare. Il deposito dovrà ospitare le scorie delle vecchie centrali nucleari, attualmente detenute in depositi temporanei oppure all’estero, e quelle che continuano a essere prodotti da processi industriali, medico-ospedalieri o dalle attività di ricerca. I continui ritardi nell’identificazione del sito erano talmente grotteschi da aver indotto la Commissione europea ad aprire, lo scorso ottobre, una procedura di infrazione. Peraltro, la partita è solo cominciata: la Carta è solo il primo passo. Se verranno rispettati i tempi (cosa molto improbabile) il documento resterà in consultazione per due mesi. Nei quattro mesi successivi, Sogin dovrà organizzare un seminario nazionale per fornire i dettagli del progetto alle aree potenzialmente interessate.

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Decorso questo termine, la Carta dovrà essere aggiornata alla luce delle osservazioni ricevute ed essere pubblicata nella versione definitiva. Solo a quel punto si faranno passi concreti verso l’individuazione del sito, che richiederà altri mesi ancora: ci vorranno almeno due anni per un progetto, e a quel punto inizierà il procedimento per l’autorizzazione vera e propria. Il deposito, oltre tutto, rappresenta un’occasione economica e tecnologica per l’area che, alla fine, sarà prescelta: l’investimento è stimato in 900 milioni di euro. Intanto, gli italiani pagano mezzo miliardo di euro l’anno per mantenere una gestione temporanea (e quindi intrinsecamente meno sicura) o delegata a paesi esteri (Francia e Regno Unito, che giustamente vorrebbero liberarsi delle nostre scorie). Altro che proteste: il deposito nazionale è utile e indispensabile. Non condanna ma necessità e opportunità.

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