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Il debito con la Next Generation

Il Recovery non può essere un cashback a carico della generazione ventura

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Evidentemente tra Bruxelles e Roma deve esserci un fraintendimento sul significato di “Next Generation Eu”. Nelle intenzioni dell’Europa la prossima generazione è quella che dovrà raccogliere i frutti degli investimenti da fare oggi, per l’Italia la prossima generazione è quella che dovrà pagare il conto dei bonus da elargire ora. Non si comprende, altrimenti, la discrepanza tra gli obiettivi indicati dalla Commissione europea e alcune importanti misure introdotte dal governo italiano in questa legge di Bilancio. Il caso più emblematico è il Cashback, nella sua variante natalizia e poi ordinaria, ovvero lo sconto di stato per chi paga con strumenti digitali. Si tratta di un provvedimento della durata di 18 mesi, non esattamente l’orizzonte temporale della “next generation”, che costa circa 5 miliardi. Il governo ha deciso di finanziare questo bonus con i fondi europei, facendolo rientrare tra i progetti per la digitalizzazione. Più in particolare, nelle bozze governative che elencano i 52 progetti del Recovery plan, il bonus viene inserito nel capitolo “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza della Pa” su cui il governo impiega in totale 10 miliardi. Ebbene, di questi circa la metà per il Cashback, che non è un investimento, non è innovazione, non riguarda la riforma della Pubblica amministrazione e neppure la next generation. Il beneficio fiscale avrà, molto probabilmente, anche un effetto regressivo: secondo i dati preliminari, circa 5,3 milioni di cittadini si sono a oggi iscritti al Cashback e sicuramente, se ci fosse un monitoraggio anonimo dei dati, si scoprirebbe che fanno prevalentemente parte della parte più ricca del paese (benestante, istruito, residente in città), che già usa le carte e meno ha bisogno di sussidi. Di queste mance per benestanti è ricca la politica economica del governo (da ultimo il salvagente per gli investitori che perdono soldi con i Pir. Avanti così e alle future generazioni non resterà altro che il conto da pagare.

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Evidentemente tra Bruxelles e Roma deve esserci un fraintendimento sul significato di “Next Generation Eu”. Nelle intenzioni dell’Europa la prossima generazione è quella che dovrà raccogliere i frutti degli investimenti da fare oggi, per l’Italia la prossima generazione è quella che dovrà pagare il conto dei bonus da elargire ora. Non si comprende, altrimenti, la discrepanza tra gli obiettivi indicati dalla Commissione europea e alcune importanti misure introdotte dal governo italiano in questa legge di Bilancio. Il caso più emblematico è il Cashback, nella sua variante natalizia e poi ordinaria, ovvero lo sconto di stato per chi paga con strumenti digitali. Si tratta di un provvedimento della durata di 18 mesi, non esattamente l’orizzonte temporale della “next generation”, che costa circa 5 miliardi. Il governo ha deciso di finanziare questo bonus con i fondi europei, facendolo rientrare tra i progetti per la digitalizzazione. Più in particolare, nelle bozze governative che elencano i 52 progetti del Recovery plan, il bonus viene inserito nel capitolo “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza della Pa” su cui il governo impiega in totale 10 miliardi. Ebbene, di questi circa la metà per il Cashback, che non è un investimento, non è innovazione, non riguarda la riforma della Pubblica amministrazione e neppure la next generation. Il beneficio fiscale avrà, molto probabilmente, anche un effetto regressivo: secondo i dati preliminari, circa 5,3 milioni di cittadini si sono a oggi iscritti al Cashback e sicuramente, se ci fosse un monitoraggio anonimo dei dati, si scoprirebbe che fanno prevalentemente parte della parte più ricca del paese (benestante, istruito, residente in città), che già usa le carte e meno ha bisogno di sussidi. Di queste mance per benestanti è ricca la politica economica del governo (da ultimo il salvagente per gli investitori che perdono soldi con i Pir. Avanti così e alle future generazioni non resterà altro che il conto da pagare.

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