PUBBLICITÁ

Boccuzzi lascia il Fitd e sfata i luoghi comuni sulle crisi bancarie

Mariarosaria Marchesano

 “Che lo stato abbia pagato il costo più elevato per i dissesti è una leggenda”. Parla il dg del Fondo interbancario

PUBBLICITÁ

Negli ultimi sei anni ci sono state in Italia 16 crisi bancarie e il loro costo è stato rilevante: circa 43 miliardi di euro, di cui 22,5 miliardi a carico del settore pubblico e 20,5 miliardi a carico di quello privato. Se si escludono, però, le garanzie – non ancora escusse – che il governo ha concesso nell’ambito dell’intervento in favore delle due banche venete (12,4 miliardi), il contributo del settore privato ai dissesti bancari è stato superiore rispetto a quello del pubblico. In particolare, 8,5 miliardi è lo scotto pagato dagli azionisti e dai possessori di obbligazioni subordinate e a circa 12 miliardi ammonta l’esborso a cui hanno fatto fronte il sistema bancario e altri soggetti privati. “Questo dato sfata il luogo comune secondo cui lo stato ha pagato il costo più elevato per le crisi degli ultimi anni, un ciclo che si è verificato dopo la grande crisi finanziaria del 2008, ma soprattutto successivamente alla riforma bancaria europea con le direttive sul risanamento e la risoluzione delle banche”, dice al Foglio Giuseppe Boccuzzi, che da pochi giorni ha concluso il mandato di direttore generale del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd)

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Negli ultimi sei anni ci sono state in Italia 16 crisi bancarie e il loro costo è stato rilevante: circa 43 miliardi di euro, di cui 22,5 miliardi a carico del settore pubblico e 20,5 miliardi a carico di quello privato. Se si escludono, però, le garanzie – non ancora escusse – che il governo ha concesso nell’ambito dell’intervento in favore delle due banche venete (12,4 miliardi), il contributo del settore privato ai dissesti bancari è stato superiore rispetto a quello del pubblico. In particolare, 8,5 miliardi è lo scotto pagato dagli azionisti e dai possessori di obbligazioni subordinate e a circa 12 miliardi ammonta l’esborso a cui hanno fatto fronte il sistema bancario e altri soggetti privati. “Questo dato sfata il luogo comune secondo cui lo stato ha pagato il costo più elevato per le crisi degli ultimi anni, un ciclo che si è verificato dopo la grande crisi finanziaria del 2008, ma soprattutto successivamente alla riforma bancaria europea con le direttive sul risanamento e la risoluzione delle banche”, dice al Foglio Giuseppe Boccuzzi, che da pochi giorni ha concluso il mandato di direttore generale del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd)

PUBBLICITÁ

   
Nel suo nuovo libro “Le crisi bancarie in Italia  2014-2020” (Bancaria editrice), racconta il mare in tempesta attraversato a bordo di una scialuppa di salvataggio che si è rivelata fondamentale per la tenuta del sistema bancario. Il Fitd, infatti, è intervenuto a vari livelli – con operazioni sul capitale ma anche con rimborsi ai risparmiatori che avevano investito in obbligazioni subordinate di banche in crisi (280 milioni nel caso delle banche venete) – e quando la sua legittimità è stata messa in discussione dalla Commissione europea per la vicenda Tercas, non solo ha ingaggiato un contenzioso facendo prevalere le sue ragioni dinanzi al Tribunale europeo, ma ha costruito uno strumento alternativo come lo Schema volontario. “La verità è che c’è stata un’assunzione di responsabilità da parte del sistema bancario che non sempre viene sottolineata”, afferma. “Nel complesso, il fenomeno dei dissesti bancari ha richiesto un’ampia gamma di strumenti su cui oggi vale la pena fermarsi a riflettere per vedere quando e come hanno funzionato e dove, invece, si poteva fare meglio magari con opportuni interventi di revisione delle regole”. 

  
Il messaggio che si può trarre da questo lavoro ricco di dati e analisi  è che i fallimenti bancari possono trasformarsi in opportunità. “Sempre che le opportunità vengano ben ponderate e gestite al meglio”. Boccuzzi di questo è convinto e non potrebbe essere diversamente considerando che dal 1982 al 1997 si è occupato della procedura per il crac del Banco Ambrosiano come responsabile della divisione di vigilanza della Banca d’Italia per le situazioni straordinarie. E da quella crisi, attraverso successive aggregazioni, ha avuto origine il gruppo Intesa Sanpaolo, il primo gruppo bancario italiano. “E ciò è stato reso possibile dagli uomini che hanno gestito quella fase”, osserva Boccuzzi, il quale quando ha lasciato Via Nazionale, nel 2014, per andare a dirigere il Fitd, aveva gestito una lunga serie di crisi di banche e intermediari finanziari nonché partecipato a tante commissioni, organismi e comitati europei che hanno visto nascere le nuove regole per risanamenti, risoluzioni e liquidazioni. 

  
 Anche la crisi di Mps può diventare un’opportunità? “La vicenda è complessa e mi pare che il dibattito politico sia ancora aperto. Sono convinto che Mps possa rappresentare un’opportunità se inserita in un’operazione, anche di aggregazione, che valorizzi le sue potenzialità. In linea di principio, la riallocazione sul mercato di una banca nazionalizzata deve avvenire nei tempi e con le modalità tecnicamente più favorevoli e convenienti. Lo stato dovrebbe potersi comportare come un qualunque investitore privato, sulla base di regole meno rigide che consentano di realizzare l’exit ottimizzandone il risultato”. Pensa che lo stato possa avere successo come banchiere? “Sì, se a occuparsi della gestione ci sono le persone giuste e se c’è il tempo necessario per seguire un percorso di risanamento. Il ruolo dello stato nelle crisi sistemiche è fondamentale. La stessa normativa europea sancisce che il ricorso alle risorse pubbliche è più che giustificato quando si devono evitare effetti disgregativi sul sistema finanziario e sull’economia. La stabilità finanziaria è un bene pubblico perché da essa dipende anche la crescita dell’economia”. 

PUBBLICITÁ

  
Il Fondo interbancario, sotto la guida di Boccuzzi, e la presidenza di Salvatore Maccarone, è intervenuto nel salvataggio di Carige, di cui tutt’ora possiede l’80 per cento del capitale, e, invece, è uscito dalla Popolare di Bari dove aveva partecipato a un consistente aumento di capitale con un esborso di 1.170 milioni. Due approcci in senso opposto, perché? “Quello della Popolare di Bari è un caso di nazionalizzazione realizzata con l’apporto anche di risorse private – osserva Boccuzzi –. Il Mediocredito centrale, infatti, ha acquisito il 97 per cento del capitale, dopo che il Fitd gli ha girato la sua partecipazione per una cifra simbolica. Diversamente, Carige è stata un’operazione completamente tra privati con la facoltà per un investitore come Cassa centrale Banca di salire nel capitale entro il 2021 consentendo così al Fondo di uscire dal capitale. In entrambe le situazioni il Fondo ha assicurato la stabilità del sistema e la tutela del risparmio ma con esiti differenziati”. 

 
Proprio la natura esclusivamente privata di Carige evidenzia, peraltro, quanto sia velleitario immaginare, come ventilato in alcuni ambienti della maggioranza, un polo del credito  tra la banca ligure da un lato e Mps e Popolare di Bari dall’altro, il tutto sotto una regia pubblica. Ma il ciclo delle crisi  è terminato? “Non è facile rispondere, perché mentre il ciclo stava finendo è scoppiata la pandemia Covid che sta determinando uno choc macroeconomico senza precedenti che potrebbe riflettersi sul settore bancario mettendo in discussioni gli equilibri degli istituti che già presentano profili di fragilità. Se questo dovesse verificarsi, si porrebbe il problema degli strumenti con cui affrontare eventuali situazioni patologiche e cioè se con il framework europeo, basato essenzialmente sull’alternativa risoluzione-liquidazione di banche insolventi, oppure con strumenti straordinari che comprendano  l’intervento pubblico. Si vedrà, ma intanto i dissesti degli ultimi anni insegnano che l’attuale sistema di norme risulta troppo complesso e con una spiccata sovrapposizione e competenze tra le autorità”.
 

PUBBLICITÁ