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Quattro strade per non mandare a rotoli il rapporto tra Ue e Big Tech

Giovanni Pitruzzella

L'Unione europea ha assunto un ruolo di “global rules maker”, che da alcuni ambiti, come l’ambiente e la tutela dei consumatori, si va estendendo al mondo digitale: un modo per rafforzare la cooperazione tecnologica con gli Stati Uniti e reggere la competizione con la Cina

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La Commissione europea ha messo a punto le sue proposte sulla responsabilità degli operatori che forniscono servizi digitali (Digital Services Act) e sui nuovi strumenti antitrust da applicare alle grandi piattaforme (Market Digital Act). Il fatto importante è che si passa da una regolazione leggera, che risale al 2000, e che si basa sull’esenzione di responsabilità dei prestatori di servizi su internet per i contenuti che ospitano e sull’assenza di regole di concorrenza specifiche per il mondo digitale, ad una regolazione più stringente. Da una parte nuovi obblighi per le piattaforme con l’obiettivo di contrastare la diffusione nella rete di contenuti illegali, false informazioni e discorsi d’odio. Dall’altra, nuovi “competition tools” che permetteranno un intervento ex ante per rimuovere gli ostacoli alla concorrenza riconducibili alle piattaforme che operano come “gatekeeper”, che cioè sono diventate indispensabili per accedere a determinati servizi.

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La Commissione europea ha messo a punto le sue proposte sulla responsabilità degli operatori che forniscono servizi digitali (Digital Services Act) e sui nuovi strumenti antitrust da applicare alle grandi piattaforme (Market Digital Act). Il fatto importante è che si passa da una regolazione leggera, che risale al 2000, e che si basa sull’esenzione di responsabilità dei prestatori di servizi su internet per i contenuti che ospitano e sull’assenza di regole di concorrenza specifiche per il mondo digitale, ad una regolazione più stringente. Da una parte nuovi obblighi per le piattaforme con l’obiettivo di contrastare la diffusione nella rete di contenuti illegali, false informazioni e discorsi d’odio. Dall’altra, nuovi “competition tools” che permetteranno un intervento ex ante per rimuovere gli ostacoli alla concorrenza riconducibili alle piattaforme che operano come “gatekeeper”, che cioè sono diventate indispensabili per accedere a determinati servizi.

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I critici puntano il dito contro la spinta protezionistica e gli ostacoli all’innovazione che discenderebbero dalla nuova regolazione. Da una parte, si accusa l’Europa di innalzare una barriera regolatoria contro le grandi piattaforme americane, dall’altro si osserva che l’innovazione che c’è stata su Internet si è realizzata in un ambiente con poche regole in cui la crescita del potere di mercato delle piattaforme si è realizzata grazie alla capacità di innovare con vantaggio ai consumatori. Queste critiche vanno prese sul serio: in ogni intervento regolatorio in un ambiente a rapidissima innovazione delle tecnologie e dei modelli di business, si annida il rischio del protezionismo e del blocco dell’innovazione. Ma bisogna aggiungere che non sembrano essere queste le premesse “filosofiche” delle iniziative della Commissione. Per farla breve, mi limito a quattro osservazioni.

 

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In primo luogo, la Commissione mira a impedire la frammentazione normativa che si sta producendo, dove ogni Stato adotta proprie regole (per esempio, in materia di discorsi d’odio sulla rete), ostacolando la crescita di un mercato unico digitale europeo, che è una condizione essenziale per l’affermazione degli innovatori di domani. In secondo luogo, l’assenza di argini efficaci contro la violazione dei diritti di proprietà intellettuale e la contraffazione nella rete arreca gravi pregiudizi alle imprese innovatrici, mentre discorsi d’odio e disinformazione minano quel bene fondamentale della democrazia e del mercato che è la fiducia. In terzo luogo, l’ampliamento della “cassetta degli attrezzi” dell’antitrust non condanna il potere di mercato che le grandi piattaforme hanno ottenuto grazie all’innovazione, ma permette di intervenire rapidamente quando con i loro comportamenti impediscono agli innovatori di oggi di sfidarli in una competizione basata sui meriti oppure quando ostacolano quelle imprese che sono da esse economicamente dipendenti.

 

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Infine, va osservato che l’UE ha assunto un ruolo di “global rules maker”, che da alcuni ambiti, come l’ambiente e la tutela dei consumatori, si va estendendo al mondo digitale (il General Data Protection Regulation sta affermandosi come standard globale). Si tratta di quello che Anu Bradford, in un libro recente, ha definito il “Brussels Effect”. Tale tendenza va letta insieme all’esigenza – già evidenziata da “Foreign Affairs”, dal “Council on Foreign Relations” e rilanciata recentemente dall’”Economist” – di rafforzare la cooperazione tecnologica tra gli Stati Uniti e le altre “tecnodemocrazie” a partire dall’UE. Una via necessaria per reggere la competizione geopolitica e geoeconomica con la Cina, che ha trasformato internet in uno dei principali campi di battaglia. Questa cooperazione servirà a promuovere insieme l’innovazione e la tutela dei valori delle liberaldemocrazie in Internet, e qui l’UE potrà far valere il suo sperimentato “savoir-faire” nella definizione di standard giuridici globali, con vantaggi sia per la salvaguardia dei valori delle società aperte sia per la crescita dell’economia europea.

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