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Qui è in gioco il futuro, e lo stiamo perdendo

Federico Ronchetti

Istruzione e ricerca scientifica, i grandi ritardi italiani. Solo otto pagine su 125 nella bozza del Piano di ripresa e resilienza. Dal governo pochi fondi e nessuna strategia. Piano Amaldi e progetto Quantum Italia, due occasioni per invertire la rotta

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Nella bozza del Piano di ripresa e resilienza (Prr) alla ricerca scientifica e all’istruzione sono dedicate otto pagine su 125 ossia uno scarno 6 per cento dell’intero documento. Le indicazioni contenute nelle otto pagine non esprimono alcuna strategia per il futuro del paese e dei giovani che tra dieci o quindici anni dovranno svolgere professioni competitive sul mercato globale. Non dimentichiamo che i 209 miliardi (da spendere entro il 2026) del Next Generation Eu sono in gran parte prestiti che andranno restituiti e che quindi dovrebbero essere investiti in modo remunerativo. Infatti, 193 miliardi vengono dalla Recovery and Resilience Facility (Rrf) e il resto da altri fondi europei previsti nel Ng-Eu (React Eu e Just Transition Fund).  

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Nella bozza del Piano di ripresa e resilienza (Prr) alla ricerca scientifica e all’istruzione sono dedicate otto pagine su 125 ossia uno scarno 6 per cento dell’intero documento. Le indicazioni contenute nelle otto pagine non esprimono alcuna strategia per il futuro del paese e dei giovani che tra dieci o quindici anni dovranno svolgere professioni competitive sul mercato globale. Non dimentichiamo che i 209 miliardi (da spendere entro il 2026) del Next Generation Eu sono in gran parte prestiti che andranno restituiti e che quindi dovrebbero essere investiti in modo remunerativo. Infatti, 193 miliardi vengono dalla Recovery and Resilience Facility (Rrf) e il resto da altri fondi europei previsti nel Ng-Eu (React Eu e Just Transition Fund).  

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Dei 193 miliardi della Rrf, 65 sono sovvenzioni e 128 prestiti. La frazione di fondi prevista per istruzione e ricerca ammonta a 19,2 miliardi di cui 10,1 per il “potenziamento della didattica e diritto allo studio” e 9,1 per la voce “dalla ricerca all’impresa”. Il documento non contiene nessuna visione strategica ma si limita a elencare una serie di settori di esecuzione in cui incanalare i finanziamenti. In particolare, la voce (sacrosanta) della “modernizzazione e cablatura degli edifici scolastici” viene contabilizzata aggregandola a questo capitolo e immagino che costituisca una ragguardevole frazione dei 10,1 miliardi “per la scuola”. Rimane però oscuro il motivo per cui digitalizzazione delle scuole ed edilizia scolastica non possano essere finanziate dai cospicui capitoli dell’innovazione digitale (35 miliardi) e della riqualificazione degli edifici (40 miliardi) senza intaccare la frazione di fondi per l’istruzione in quanto tale. Il resto della shopping list relativa al settore di esecuzione dell’istruzione riecheggia vecchie logiche efficentiste invece di mirare a una profonda riforma del sistema scolastico che innalzi il livello di competenza e di retribuzione degli insegnati (nel quadro di una logica meritocratica) e delinei una scuola moderna in cui le basi delle discipline scientifiche e tecniche (come il linguaggio di programmazione) vengano insegnate fin dalle scuole elementari. 

 

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Le proposte per l’istruzione universitaria sono parimenti vaghe e basate banalmente sull’idea che da una parte vi sia il sistema delle imprese e dall’altra il bacino dei laureati e occorra semplicemente aprire il rubinetto tra questi due vasi comunicanti dimenticando che esiste il problema che i vasi sono entrambi quasi prosciugati. Ad esempio, l’idea dei dottorati di ricerca “negli stessi ambiti e su programmi specifici per il mondo produttivo” è totalmente naive. I nostri dottorandi Stem già trovano lavoro sia nella ricerca sia nell’industria di tutti i paesi più avanzati dell’Ocse, dove sono sempre tra i migliori. Quindi non serve sfornare dottorati “praticoni” o della “pro-loco” ma innalzare il livello tecnico-scientifico delle imprese italiane in modo che esse impieghino gli eccellenti dottori di ricerca che al momento vanno a lavorare in Francia o Germania e anzi ne abbiamo sempre maggior bisogno. La strategia deve essere quella della fucina dei cervelli che partendo dalle scuole primarie, passando per le secondarie e arrivando all’università sforni talenti che possano essere impiegati nella ricerca pubblica e privata perché ce n’è effettivo bisogno e non per incentivi fiscali. 

 

Venendo alla ricerca scientifica, vediamo che la ricerca di base praticamente non è menzionata nel Prr il che è ovviamente inaccettabile. L’importante questione della ricerca applicata (pubblica e privata) e del trasferimento tecnologico ancora una volta è affrontata con parole l’ordine o slogan ma senza tentare il salto di qualità del sistema. Eppure nei mesi passati le uniche due proposte concrete e innovative per l’allocazione dei fondi del Next Genration Eu sono venute proprio in questo ambito e mi riferisco al Piano Amaldi per la ricerca scientifica e al progetto Quantum Italia (concepito dal sottoscritto e da Marco Bentivogli) per la creazione di un network misto pubblico-privato sul modello della rete Frahunofer tedesca per iniettare i benefici della ricerca applicata e del trasferimento tecnologico nel sistema delle imprese e rendere le nostre industrie più competitive.

  

Appena sabato 10 ottobre, durante lo speciale di SkyTg24 “Progress” dedicato al Piano Amaldi, il ministro Manfredi, rispondendo a una precisa domanda di Helga Cossu, aveva parlato non solo dell’impegno del governo per l’aumento degli investimenti in ricerca ma anche della necessità di un cambio di paradigma. Tuttavia, i 9 miliardi che sono destinati alla ricerca del Prr sono largamente inferiori non solo al finanziamento indicato dal piano Amaldi (22 miliardi entro il 2026) che ci avrebbe consentito di raggiungere, in termini di spesa relativa al pil la Germania, ma anche allo stanziamento di 15 miliardi di euro in cinque anni (che Manfredi aveva poi ribadito al giornalista Eugenio Occorsio) e che ci avrebbe allineato con la Francia. Questo scopo meno ambizioso, e quindi anche più facilmente realizzabile, era stato portato all’attenzione del ministro e del presidente del Consiglio con una lettera al Corriere della Sera da un gruppo di 14 scienziati (tra cui lo stesso Ugo Amaldi) guidati da Luciano Maiani. 

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Non va dimenticato che un altro punto fondamentale del piano Amaldi è la spinta decisa verso la ricerca applicata (finanziata nel rapporto 1 a 2 rispetto a quella di base): questo aspetto ha avuto un impatto preponderante anche nell’attenzione ottenuta, sia da parte dei media che del pubblico, rispetto a un tema come quello della ricerca scientifica normalmente visto come lontano da questioni pratiche e relegato in ultimissimo piano nel dibattito politico. 

 

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Va inoltre menzionato il fatto che parte delle risorse per la ricerca avrebbero potuto essere stanziate addirittura nella legge di Bilancio ordinaria senza attendere il Next Generation Eu. Infatti, sempre durante il dibattito tenutosi a “Progress” è stato dimostrato che il finanziamento del piano Amaldi sarebbe potuto partire immediatamente con fondi ordinari senza nemmeno attendere il Recovery fund, ad esempio usando parte del Fondo patrimonio delle piccole e medie imprese che, varato nel 2019, è tuttora sostanzialmente inutilizzato. 

 

Ma la ricerca continua a essere vista dal governo italiano come un semplice accessorio, fatto più volte sottolineato dai maggiori esponenti della comunità scientifica europea, come Jean-Pierre Bourguignon (presidente dell’Erc, lo European Research Council) che ha stigmatizzato la tendenza dei governi a considerare la scienza come un estintore da usare solo quando la casa brucia e poi da rimettere in cantina fino alla prossima emergenza globale. In questo senso perfino la Spagna si sta dimostrano molto più lungimirante dell’Italia allocando circa 3 miliardi di euro in ricerca solo per il 2021.

 

In aggiunta a ciò, nel presente scenario anche i fondi europei (Erc) verranno incrementati meno del previsto proprio perché parte di essi è confluita nel Next Generation Eu che noi italiani evidentemente non siamo però in grado di usare saggiamente per la ricerca medesima. Infatti, i fondi Erc hanno rappresentato spesso una boccata di ossigeno per i ricercatori italiani anche se purtroppo e non sorprendentemente 2/3 degli italiani vincitori di Erc scelgono di effettuare le proprie attività di ricerca all’estero. 

 

E’ ormai evidente che il governo italiano non ha nessuna strategia per la ricerca scientifica di base e applicata pubblica e privata. Eppure, per mesi sono state portate all’attenzione dei media e del pubblico le proposte relative alle quattro direttrici previste dal piano Amaldi, ossia: risorse umane, progetti, infrastrutture e, soprattutto, trasferimento tecnologico verso il sistema delle imprese private. La costruzione di una struttura di coordinamento sul modello proposto da Quantum Italia tra le imprese e le controparti pubbliche (università ed enti di ricerca) del Mur, del Mise e dei ministeri della Sanità e dell’Istruzione è necessaria per trasportarci tra i paesi economicamente più avanzati, che vantano crescite sostenute del 2-3 per cento del pil, consentendo a università ed enti di ricerca pubblici di rendere accessibili alle industrie, oltre alle competenze, infrastrutture e attrezzature: per esempio per effettuare pilot run, studi di fattibilità e essere coinvolte nelle attività di innovation park e distretti industriali fornendo sedi e supporto per industrie e start-up. Un quadro normativo chiaro, che regoli compensi e conflitti di interesse, dovrebbe consentire ai ricercatori pubblici di collaborare ai progetti di ricerca privati e viceversa. 

  

L’integrazione tra ricerca pubblica e privata implica quindi il cambiamento dello status quo su molti fronti: dalla scuola all’università agli enti di ricerca pubblici fino ad arrivare alle imprese. Ognuno deve fare la sua parte superando dogmi e sclerotizzazioni. Ad esempio, gli enti di ricerca pubblici devono essere messi in condizione di operare sul mercato e, ove possibile, dovrebbero essere trasformati in fondazioni di diritto privato o consorzi e sviluppare un dipartimento dedicato al trasferimento tecnologico afferente al coordinamento per la ricerca applicata. Anche la legislazione sui brevetti dovrebbe essere resa più efficiente garantendo all’autore una giusta frazione dei proventi ma intestando il brevetto all’ente di appartenenza in modo da massimizzare i vantaggi per il suo sfruttamento per la comunità. Il settore privato potrà essere aiutato inizialmente con sgravi fiscali, per esempio la decontribuzione dell’assunzione a tempo indeterminato di dottorati o la defiscalizzazione delle spese per investimenti in ricerca per le Pmi. 

  

Vanno rafforzate le due gambe del sistema della ricerca italiana, pubblica e privata, in modo da poter competere ad armi pari con le economie avanzate e in particolare con il Nord Europa. La massimizzazione dei vantaggi competitivi indotti dal trasferimento tecnologico verso le imprese deve procedere con l’identificazione di settori di esecuzione strategici dove pubblico e privato concentrino gli sforzi in termini di investimenti, risorse umane e infrastrutture.  L’elenco è lungo ma possiamo citare alcuni campi di particolare rilievo: supercalcolatori, intelligenza artificiale, computer quantistici, robotica, sensori, agricoltura smart, tecnologie per trasporti, sicurezza idro-geologica e patrimonio artistico, scienze della vita, approvvigionamento e stoccaggio energetico, cyber-sicurezza, crittografia, identità digitale, e-Government. Questi settori di esecuzione rappresentano obiettivi strategici e, a differenza della shopping list della bozza del Prr, sono innestati in un contesto concreto di sviluppo pubblico-privato come quello proposto da Quantum Italia.  Solo per fare un esempio, la digitalizzazione della Pubblica amministrazione e, spingendo lo sguardo oltre, l’e-Government e l’Identità digitale dei cittadini, la protezione dei dati personali e sanitari, richiedono la creazione di veri centri di ricerca per lo sviluppo delle competenze e delle tecnologie necessarie, mentre per adesso si ascoltano solo parole d’ordine vuote come digitalizzazione. 

  

La stessa osservazione vale per le istanze sollevate da migliaia di giovani in tema di cambiamento climatico e impatto ambientale: occorre dare risposte concrete creando tecnologie che oltre a generare ricchezza risolvano o mitighino i problemi di oggi e pongano le basi per affrontare le sfide future andando oltre le rassicuranti narrazioni su economie green o circolari. Questo tipo di sviluppo non si otterrà solo con incentivi fiscali e bonus a pioggia dirottando il fiume di denaro del Next Generation Eu sul nostro sistema burocratico-amministrativo che, tra l’altro, in condizioni normali non è stato mai nemmeno in grado di spendere più del 40 per cento dei fondi Ue. Infine, bisogna ricordare che interi settori della ricerca (anche di quella pubblica di base) sono drammaticamente sotto-finanziati, come quello delle scienze della vita la cui importanza strategica è ormai evidente, vista la pandemia in corso, anche agli osservatori più disattenti. Oltre al rifinanziamento e al potenziamento delle infrastrutture di ricerca esistenti questo settore va liberato da limitazioni ideologiche molto più restrittive delle normative europee, per esempio in tema di sperimentazione animale e ricerca embrionale, che impediscono di fatto la competizione con i paesi più avanzati e intralciano eventuali collaborazioni reciproche, in quanto ogni progetto congiunto deve sottostare ai vincoli della legge italiana. 

 

In conclusione, questa analisi non può tralasciare il triste fatto (sottolineato da un’inchiesta di Massimo Sideri) che il mondo della ricerca ha solo molto pavidamente sostenuto sia il piano Amaldi originale sia la proposta “light” Amaldi-Maiani (che prevede per la ricerca pubblica 1 miliardo aggiuntivo ogni anno per i prossimi 5 anni in modo da raggiungere la Francia passando da 9 miliardi a14 miliardi/anno) preferendo attendere che cadessero le briciole dal tavolino della politica che, ovviamente, è ciò che infine è accaduto. Il mancato sostegno alla campagna per il piano Amaldi da parte dei singoli ricercatori è semplicemente scandaloso. La lettera aperta sul sito change.org ha ottenuto solo 18 mila firme a fronte dei quasi 100 mila ricercatori italiani e va detto che molte di quelle firme vengono da cittadini comuni che hanno aderito grazie ai social media. Come si può pretendere che un cittadino si convinca della giustezza di un aumento degli investimenti in ricerca quando gli stessi ricercatori (pubblici impiegati) non dedicano un minuto per cliccare su un sito web in un momento tra l’altro in cui molte attività private sono in sofferenza? 

 

La campagna per il piano Amaldi è rimasta orfana anche dei sindacati e degli enti di ricerca che, con la lodevole eccezione della Società italiana di Fisica, hanno fatto troppo poco. Di nuovo, l’impressione è che il sistema della ricerca pubblica preferisca accontentarsi e mantenere lo status quo piuttosto che ricevere più finanziamenti e intraprendere un percorso di cambiamento. E’ evidente ormai che la ricerca pubblica va sottoposta a una profonda operazione di smontaggio, revisione, ottimizzazione e rimontaggio che garantisca una governance degli enti di ricerca più uniforme, sburocratizzi l’amministrazione, possibilmente portandola fuori dalle logiche della Pubblica amministrazione, e renda le procedure concorsuali in ingresso e le progressioni di carriera trasparenti e veramente meritocratiche. Purtroppo, per il momento, sembra che questa occasione sia stata persa. Certamente continueremo a esercitare pressione sull’opinione pubblica fino a che almeno le forze politiche più responsabili, che si erano già espresse in supporto del piano Amaldi e di Quantum Italia, si coalizzeranno e si intesteranno questi obiettivi per metterli al centro del dibattito in vista di cambiamenti di scenario politico nel breve e nel medio termine.
 

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