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Crisi d’identità

Unicredit va sul lettino dello psicanalista per il dopo Mustier

Stefano Cingolani

Tra  flop delle ambizioni europee e la sfida in Italia con Intesa. In discussione non c’è solo il nodo Mps, ma il modello di business. Il rischio di una linea “sovranista”

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La resa di Jean Pierre Mustier è stata accolta da un crollo in Borsa. L’ad si ritirerà con la prossima assemblea quando scoccheranno dieci anni dal suo ingresso in Unicredit e cinque anni di navigazione solitaria come capo azienda. Da oggi si apre nel grattacielo di piazza Gae Aulenti una lunga seduta terapeutica che si concluderà ad aprile; un inverno di riflessione, ma anche di scelte che  azionisti,  clienti e lavoratori sperano  si concluda con una “estate sfolgorante” come si augurava Riccardo III. Sul sofà dello psicoanalista si alterneranno i membri del cda compreso l’ultimo arrivato Pier Carlo Padoan destinato a diventare il primus inter pares, presidente non di campanello.

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La resa di Jean Pierre Mustier è stata accolta da un crollo in Borsa. L’ad si ritirerà con la prossima assemblea quando scoccheranno dieci anni dal suo ingresso in Unicredit e cinque anni di navigazione solitaria come capo azienda. Da oggi si apre nel grattacielo di piazza Gae Aulenti una lunga seduta terapeutica che si concluderà ad aprile; un inverno di riflessione, ma anche di scelte che  azionisti,  clienti e lavoratori sperano  si concluda con una “estate sfolgorante” come si augurava Riccardo III. Sul sofà dello psicoanalista si alterneranno i membri del cda compreso l’ultimo arrivato Pier Carlo Padoan destinato a diventare il primus inter pares, presidente non di campanello.

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Ma sono previsti appuntamenti anche per i vertici operativi, i manager che guidano le attività italiane e straniere (soprattutto tedesche).  La riflessione non comincia certo adesso e l’uscita di Mustier arriva al termine di un percorso che dura da mesi. Se n’era parlato già a febbraio, poi la pandemia aveva bloccato tutto. Intanto è cresciuta la pressione esterna, soprattutto da parte del governo che vorrebbe cedere a Unicredit il Monte dei Paschi di Siena, nazionalizzato “temporaneamente” nel 2017, ma non risanato. L’arrivo di Padoan ha dato un colpo d’acceleratore alimentando la convinzione che fosse stato scelto per far digerire l’amaro boccone. Tuttavia, le cose sono molto più complicate. La sorte della banca senese non è l’unico casus belli, è in discussione infatti l’intera strategia della banca: in Italia continua a perdere peso e ricavi soprattutto al nord a vantaggio di Intesa Sanpaolo (ancor più dopo l’acquisizione di Ubi); la scissione tra attività estere e interne proposta da Mustier è stata rifiutata dal cda; il fallimento di grandi operazioni (con Société Générale e con Commerzbank) ha allontanato la speranza di crescere in Europa; la mancata distribuzione dei profitti ha aumentato lo scontento degli azionisti. Mustier, che nutre seri dubbi sulla stabilità dell’Italia, ha rifiutato di partecipare al risiko nazionale; diceva di voler puntare sul mercato che lo ha premiato con il mega aumento di capitale (13 miliardi di euro nel 2017), eppure in tre anni il valore di Borsa è sceso da 18 a 8 euro per azione. Ultimo, anche se non per importanza, è arrivato il Montepaschi. 

 
Il dossier non è mai stato portato in consiglio, ne hanno parlato Mustier e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (anche se non c’è nessuna conferma ufficiale), i giornali ci hanno ricamato sopra, in Parlamento è cominciato il fuoco di fila: i moschettieri grillini hanno sparato a pallettoni, dopo aver tentato di bloccare anche la nomina di Padoan. Del resto, sono loro ad aver scelto gli attuali vertici della banca senese e adesso vorrebbero che restasse sul groppone del Tesoro, cioè dei contribuenti. Hanno una banca, l’hanno sottratta al mondo che ruota attorno al Pd, e se la vogliono tenere. Intanto il Copasir, diventato la succursale del Gosplan, conciona contro gli appetiti stranieri, il grande complotto europeo e soprattutto i francesi che “hanno in mano il risparmio degli italiani”. Anche se non ne hanno mai discusso, i consiglieri di Unicredit non hanno dubbi nel rifiutare un’acquisizione rischiosa e pesante come quella del Mps: porterebbe potenzialmente 4 milioni di clienti (Unicredit ne ha 16 milioni), ma è gravato da crediti pressoché inesigibili, una consistente dote di debito pubblico e da un personale abbondante e costoso. Il Tesoro per ora offre una ricapitalizzazione da 2 miliardi di euro più altri 2,5 miliardi con la conversione delle imposte attive differite in crediti fiscali, una norma contro la quale si sono messi i grillini per ostacolare l’eventuale cessione di Mps. Ma chi paga i costi giudiziari saliti secondo stime a 10 miliardi dopo la condanna di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola? E chi si accolla i crediti marci?

 
Tra gli errori di Mustier che pesano sul piatto della bilancia c’è anche il rifiuto di assorbire Veneto Banca e la Popolare di Vicenza. A lui si era rivolto il governo, e ministro dell’Economia era proprio Padoan che ricorda bene l’altezzoso no del banchiere francese e il diverso atteggiamento di Carlo Messina. Il Tesoro si caricò di circa 5 miliardi di euro (più 12 miliardi sotto forma di garanzia) per salvare le banche venete; Messina fece gli interessi della sua azienda, tuttavia tolse al governo una spina nel fianco confermando il suo ruolo “sistemico”. Il confronto con Intesa è impietoso per Unicredit in termini di potere di mercato e prodotti.

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Il banchiere francese si è illuso di poter compensare la debolezza italiana con un rafforzamento sul fronte europeo. Ma ha trovato sulla sua strada il macigno del debito pubblico che porta con sé il basso rating dell’Italia e delle sue banche. E’ vero che Société Générale si è chiusa a riccio, però Unicredit avrebbe recato in dote niente meno che “il rischio Italia”. Mustier ha tentato di aggirare l’ostacolo con l’idea di separare le attività estere da quelle italiane e cercare così alleanze o integrazioni estero su estero. Nel medio periodo ciò sarebbe stato vantaggioso anche per i clienti italiani i quali avrebbero potuto usufruire delle migliori condizioni del mercato europeo, ma nel breve periodo la zavorra italiana si sarebbe fatta più pesante. In consiglio, così, è prevalsa la paura di un collasso delle attività nazionali tale da trascinare nel precipizio l’intera banca. 

 
Mustier ha salvato la banca con il mega aumento di capitale, gli investitori gli hanno dato credito, ma gli hanno imposto di tagliare i costi; lui lo ha fatto con estrema determinazione, ma ha finito per tagliare anche i ricavi. In un ambiente economico caratterizzato da tassi d’interesse vicini a zero gli utili vengono dai servizi e dai prodotti, eppure Unicredit ormai non ha molto da offrire, fa da intermediario e si accontenta di una piccola quota. Sul divano dello psicoanalista, dunque, c’è anche il modello di business non solo la struttura e la governance. Vasto programma, davvero.

 
Da dove cominciare, a questo punto? E’ vero che Unicredit deve rafforzarsi in patria, perché così è spiazzata da concorrenti fortissimi: non solo Intesa, ma Crédit Agricole che continua a crescere come dimostra l’offerta per il Credito Valtellinese. Tuttavia la banca non può perdere la sua caratura internazionale, fondamentale per le imprese che esportano e vanno all’estero, ma anche vantaggiosa (e oggi non lo è a sufficienza) per la clientela italiana. Il prossimo amministratore delegato (circolano molti nomi, tuttavia voci di dentro dicono che si comincia da zero perché Mustier ha evitato di designare un successore) dovrà garantire una gestione più consensuale (a cominciare dal rapporto con il presidente e il consiglio) mantenendo un equilibrio tra la gamba interna e quella esterna. Recuperare tutto ciò che Mustier ha snobbato è fondamentale tanto più nel bel mezzo di una pandemia che ha moltiplicato i bisogni e le esigenze di sostegno all’economia, a partire dal basso, dai territori. Non può diventare, però, una riconversione sovranista. “Prima gli italiani” non ha senso nemmeno per una banca: così come comprano auto tedesche gli italiani comprano prodotti finanziari americani. America First è stato un dramma, Italia First sarebbe una farsa.
 

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