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Privatizzare il Monte dei Paschi, ma a che prezzo? Un girotondo

Mariarosaria Marchesano

Ricapitalizzazione, dote fiscale e rischi legali: costa più vendere Mps o tenersela? Parlano Caselli, Monticini e Carpiglione

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Con le ultime mosse nel mercato, riprende vigore il risiko bancario. E adesso l’attenzione è concentrata sulle mosse che farà il Mef con il Monte dei Paschi. Secondo indiscrezioni riportate da Reuters, il ministero guidato da Roberto Gualtieri – azionista della banca senese con il 68 per cento – avrebbe selezionato Bank of America come advisor finanziario e lo studio Orrick in qualità di consulente legale per dare il via alla privatizzazione di Mps, anche se una componente del governo insiste affinché la banca resti nelle mani dello stato.

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Con le ultime mosse nel mercato, riprende vigore il risiko bancario. E adesso l’attenzione è concentrata sulle mosse che farà il Mef con il Monte dei Paschi. Secondo indiscrezioni riportate da Reuters, il ministero guidato da Roberto Gualtieri – azionista della banca senese con il 68 per cento – avrebbe selezionato Bank of America come advisor finanziario e lo studio Orrick in qualità di consulente legale per dare il via alla privatizzazione di Mps, anche se una componente del governo insiste affinché la banca resti nelle mani dello stato.

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L’ipotesi di un matrimonio con Unicredit – l’unica opzione strategica concreta nell’attuale panorama bancario in gran movimento – passerebbe attraverso un enorme sforzo finanziario con tre tipi di interventi: una dote fiscale nell’ordine di 2-3 miliardi, un’iniezione di capitale da parte del Mef di 2,5-3 miliardi di euro e, si si dice, lo scorporo di 10 miliardi di rischi legali, dopo quello dei crediti deteriorati già confluiti in un’altra società pubblica (Amco).

 

Insomma, il governo sta cucendo addosso al Monte un abito su misura in modo da allettare il più possibile il potenziale acquirente che probabilmente aspira a ottenere le stesse condizioni che furono concesse nel 2017 a Intesa Sanpaolo per l’acquisto delle due banche venete. La domanda che si pone è: fino che punto un governo può e deve spingersi per salvare una banca? E’ giusto far pesare sul bilancio pubblico il costo di sofferenze e rischi maturati nell’ambito di una gestione privata?

 

Da un giro di opinioni emerge che, se l’Italia non può permettersi di far fallire una banca, perché equivarrebbe a scatenare una crisi di fiducia nel paese, ma non si comprende perché le uniche soluzioni paventate siano quelle che implicano una socializzazione delle perdite, classico vizio italico quando si parla di banche. “La soluzione più efficace sarebbe promuovere un’aggregazione ampia – dice al Foglio Stefano Caselli, pro rettore dell’Università Bocconi –. Se lo stato deve sopportare un costo per rilanciare Mps tanto varrebbe che lo facesse con una logica di mercato, investendo in equity in un grande polo bancario privato di cui potrebbe detenere una quota di minoranza”.

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Una simile operazione, secondo Caselli, oltre a essere in linea con lo spirito e le normative europee, “sarebbe preferibile a uno stillicidio di risorse pubbliche fine a se stesso e a interventi che comportano l’esigenza di accollare alla collettività costi futuri derivanti da contenziosi o da altre anomalie della gestione”.

 

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Il presupposto di questo ragionamento è che l’Italia non può assolutamente permettersi di suscitare tra gli investitori internazionali il benché minimo dubbio sulla tenuta del suo sistema bancario, che, tra l’altro, osserva Caselli, “è supercapitalizzato”. Detto questo, avrebbe molto più senso se lo stato scendesse in campo “con capitali freschi per dar vita, attraverso un processo di aggregazione, a un nuovo polo al cui interno operi una task force di esperti dedicata alla gestione delle cause di risarcimento danni”.

 

Per Andrea Monticini, professore di finanza all’Università Cattolica, meglio sarebbe coinvolgere una banca estera e con un approccio panaeuropeo per aggregare Montepaschi, “ma bisognerebbe avere in mente una strategia per rendere la banca di nuovo profittevole e offrire garanzie sui rischi ed irregolarità del passato”. Una sorta di polizza di assicurazione, propone Monticini, che sollevi l’acquirente da responsabilità. Soluzioni, insomma, ne esistono per evitare di gravare sul bilancio dello stato anche perché 10 miliardi sono i rischi legali ma l’effettivo ammontare dei risarcimenti in futuro potrebbe essere inferiore.

 

 

“Sono aretino e dico che un’esperienza come quella della risoluzione delle quattro banche cui seguirono le proteste di piazza dei risparmiatori è assolutamente da evitare con Mps, ma è anche evidente che c’è stata una sottovalutazione del suo fabbisogno finanziario, del bagaglio dei rischi derivanti dalla passata gestione e fino a oggi non è stato fatto abbastanza per aumentare la sua capacità di stare sul mercato”.

 

Il fatto è che con Mps sembra di assistere a un film già visto. Il giurista Francesco Capriglione (esperienza di oltre mezzo secolo tra Banca d’Italia, Università di Pisa e Luiss di Roma), il quale nel 1990 è stato consulente nella procedura di trasformazione in spa del Monte, ai tempi della legge Amato che aveva colto le storture della gestione pubblica delle banche, non è affatto sorpreso che il governo sia disposto ad attivarsi per liberare la banca dalle sue zavorre. “L’obiettivo del salvataggio a ogni costo è stato perseguito da sempre dalla Banca d’Italia in nome del principio della tutela del risparmio sancito dalla nostra costituzione”, riflette Capriglione, che ricorda quando Guido Carli denunciava la “socializzazione delle perdite” del capitale bancario.

 

“Negli ultimi anni c’è stata una significativa evoluzione della normativa europea sulle crisi bancarie, ma resta ferma la possibilità per la politica di decidere il destino di Mps, approfittando magari del regime derogatorio che è stato determinato dal Covid. E’ necessaria l’assunzione di una chiara responsabilità politica nel salvataggio dell’istituto senese per il quale è certamente legittimo ipotizzare soluzioni di mercato, ma queste dovrebbero essere assistite da un’inequivoca progettualità ed evitando condizionalità che ulteriormente gravino sul bilancio dello stato”. Capriglione ricorda che tutte le volte che per la banca senese sono state cercate soluzioni di mercato “queste non hanno mai avuto successo”.

 

Così, non esclude che “dar vita a un’istituzione bancaria il cui asset patrimoniale sia in mano pubblica, in linea del resto con quanto sperimentato di recente con la Popolare di Bari, possa essere un’alternativa da percorrere”. Crede nello stato banchiere? “In altri paesi esiste tale tipologia di banca, non c’è ragione per cui si debba escludere in Italia. Altro discorso è quello di avere la capacità di gestire la complessità di una banca pubblica e di guidarne il processo di crescita”.

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