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Meglio fare che “ristorare”. La pandemia ce lo sta insegnando

Alberto Brambilla*

L’emergenza gestita con una nuova forma di assistenzialismo. Sarebbe stato più utile pianificare: i test, gli orari degli esercizi commerciali, i trasporti

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Il Sars-CoV-2 ha messo drammaticamente in evidenza tutte le debolezze del nostro sistema socio-sanitario; ma soprattutto ha dimostrato l’incapacità della classe politica (e quindi anche dei cittadini che l’hanno eletta) di fare il vero mestiere della politica, cioè pensare e progettare il futuro del paese con piani operativi di durata almeno 5/10 anni. E invece la nostra classe politica, almeno in questi ultimi trent’anni, salvo qualche rara eccezione, ha pensato solo al giorno per giorno; ai consensi immediati per rovesciare il potere a suo favore. Dal 1983 a oggi, 38 anni, si sono alternati ben 25 governi, in media un governo ogni 18 mesi; dal 2011 a oggi sei governi con campagne elettorali (in media una ogni quattro mesi) combattute a suon di promesse di sussidi, bonus, sconti fiscali e lotta a una non meglio precisata disuguaglianza sociale senza il benché minimo sforzo per definirne le cause e i contorni. E così è stato un fiorire di bonus bebè, affitto, canone tv, riscaldamento, baby sitter e bonus fiscali; ci fermiamo qui perché l’elenco porterebbe via una pagina. Per finire con reddito e pensione di cittadinanza, quota 100 e reddito universale: insomma un “metadone sociale” fallito ove sperimentato ma cavallo di battaglia per l’attuale governo e, giusto dirlo, anche per una parte consistente dell’opposizione (vedasi assegno unico familiare che potrebbe costare oltre 20 miliardi l’anno a regime, a debito come sempre). E infatti il nostro debito pubblico, per iniziative tutte definite meritorie e necessarie dai vari proponenti, ma come vedremo inefficaci, è schizzato dal 99,8 per cento degli anni 2004/7 (un sogno e un risultato che se mantenuto avrebbe reso forte il nostro paese) al 134,8 per cento di fine 2019. 

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Il Sars-CoV-2 ha messo drammaticamente in evidenza tutte le debolezze del nostro sistema socio-sanitario; ma soprattutto ha dimostrato l’incapacità della classe politica (e quindi anche dei cittadini che l’hanno eletta) di fare il vero mestiere della politica, cioè pensare e progettare il futuro del paese con piani operativi di durata almeno 5/10 anni. E invece la nostra classe politica, almeno in questi ultimi trent’anni, salvo qualche rara eccezione, ha pensato solo al giorno per giorno; ai consensi immediati per rovesciare il potere a suo favore. Dal 1983 a oggi, 38 anni, si sono alternati ben 25 governi, in media un governo ogni 18 mesi; dal 2011 a oggi sei governi con campagne elettorali (in media una ogni quattro mesi) combattute a suon di promesse di sussidi, bonus, sconti fiscali e lotta a una non meglio precisata disuguaglianza sociale senza il benché minimo sforzo per definirne le cause e i contorni. E così è stato un fiorire di bonus bebè, affitto, canone tv, riscaldamento, baby sitter e bonus fiscali; ci fermiamo qui perché l’elenco porterebbe via una pagina. Per finire con reddito e pensione di cittadinanza, quota 100 e reddito universale: insomma un “metadone sociale” fallito ove sperimentato ma cavallo di battaglia per l’attuale governo e, giusto dirlo, anche per una parte consistente dell’opposizione (vedasi assegno unico familiare che potrebbe costare oltre 20 miliardi l’anno a regime, a debito come sempre). E infatti il nostro debito pubblico, per iniziative tutte definite meritorie e necessarie dai vari proponenti, ma come vedremo inefficaci, è schizzato dal 99,8 per cento degli anni 2004/7 (un sogno e un risultato che se mantenuto avrebbe reso forte il nostro paese) al 134,8 per cento di fine 2019. 

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Una delle cause è l’aumento della spesa assistenziale a carico Inps che è passata dal 2008 a fine 2019 da 73 a 114 miliardi; facendo base i 73 miliardi del 2008 sono stati spesi in questi 11 anni oltre 250 miliardi in più, una cifra enorme che tuttavia non ha prodotto alcuna riduzione della persone in povertà assoluta: nel 2008 erano 2,11 milioni e nel 2019 sono 4,59 milioni! Basterebbe questo semplice dato per dichiarare fallita questa politica. In questa situazione il Sars-CoV-2 ha evidenziato la mancanza di programmazione e lungimiranza della politica, e tutte le debolezze del nostro sistema sanitario. Rispetto al 1980, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, in Italia abbiamo “cancellato” oltre 800 posti letti ogni 100 mila abitanti; siamo passati da 595.000 posti letto del 1980, cioè un posto letto ospedaliero ogni 94 abitanti, a 151.600 posti letto della sanità pubblica nel 2017, cioè 1 posto letto ogni 398 abitanti circa; a questi se ne aggiungono 40.500 dei privati; in totale 1 posto letto ogni 314 abitanti. Quanto alle postazioni di terapia intensiva, alla vigilia del Covid-19 ce n’erano 7.981, di cui 1.129 di terapia intensiva neonatale e 2.601 posti letto per unità coronarica. Vale a dire 1 posto ogni 7.555 abitanti; 132 posti ogni milione di abitanti! E’ scoraggiante sentire gli esponenti di governo e il Commissario affermare che in pochi mesi le terapie intensive sono raddoppiate; forse non arriviamo oggi a poco più di 9 mila; deprimente è il rimpallo di responsabilità sia per questi pessimi risultati affiancati alla quasi totale distruzione della sanità territoriale un tempo basata sui medici di famiglia, sui dispensari e sanatori. E’ un vero e proprio fallimento del “fare” che è stato sostituito dalla politica sia di destra sia di sinistra dal verbo “elargire”, magistralmente interpretato dagli ultimi tre governi e che il governo Conte ha modificato in “ristorare”. 

   
Fare è difficile soprattutto per chi non sa, mentre distribuire soldi pubblici consente di stare al governo del paese; stesso discorso per le regioni che hanno evidenziato gravi lacune nel gestire la pandemia, il che implica un ripensamento del Titolo V della Costituzione e una attribuzione di autonomia regionale solo a fronte di un loro accorpamento; non si può volere l’autonomia a giorni alterni. 

  
Come può essere declinato il fare? Ormai è noto a tutti che per evitare pesanti ripercussioni sanitarie ed economiche occorre evitare gli assembramenti e ridurre la paura nei cittadini. Una delle maggiori situazioni di assembramento sono i trasporti; cosa hanno fatto le regioni? In Lombardia ad esempio su tutti i mezzi pubblici si è provveduto ad attrezzare i mezzi con cartelli e adesivi applicati sui sedili e sul pavimento al fine di ridurre al 50 per cento i posti. Inspiegabilmente tra settembre e ottobre con altro enorme dispendio di denaro pubblico è stato tolto tutto. Ma non si parlava di una recrudescenza del virus o addirittura di una seconda ondata? Il “fare” avrebbe imposto di lasciare il 50 per cento di occupazione nel pubblico e “fare” appunto, convenzioni con taxi, Ncc, bus turistici – tutti ormai semi disoccupati – riconoscendo, ad esempio, 2 euro per ogni servizio svolto a favore di studenti, lavoratori e famiglie.  Ovviamente anche questi mezzi privati, pur di lavorare, avrebbero potuto fare sconti.

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E invece anziché dare soldi per lavorare il governo, complici le regioni e l’opposizione, paga per restare in “panchina” (come quota 100): “ristora” con bonus sempre maggiori e a debito. Lo stesso discorso vale per l’organizzazione della vita sociale: com’è possibile imporre a bar, ristoranti, palestre e così via di attrezzarsi e poi senza numeri e prove provate, chiudere tutto: inutile dare bonus che sono costati miliardi per non lavorare. Bisognava ampliare gli orari degli esercizi commerciali obbligando tutti alla prenotazione per evitare assembramenti, fare convezioni con le scuole paritarie, fare i doppi turni mattina e pomeriggio; fare un piano nazionale per i test sierologici, i tamponi e le terapie per ridurre la paura del contagio e generare più sicurezza. Fare, appunto, mentre si è preferito ristorare. La situazione è andata fuori controllo e a mali estremi il rimedio non può che essere la chiusura, che genererà gravi problemi di tenuta sociale che i 2 o 4 miliardi di ristori non sopiranno di certo. Anzi.


   
*Alberto Brambilla è presidente Itinerari previdenziali

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