PUBBLICITÁ

“Più che a cancellare i debiti, l’Italia pensi a investirli bene”. Parla Messori

Stefano Cingolani

Di fronte alla proposta di David Sassoli di cancellare i debiti contratti per combattere la pandemia, il direttore della Luiss School of European Political Economy non ha dubbi: “Tirare un tratto di penna significa monetizzare il debito, ciò va contro i trattati e rimette in discussione l’indipendenza della banca centrale". Le soluzioni sono altre

PUBBLICITÁ

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha spiegato ieri che “il rallentamento dell’attività nel quarto trimestre e a inizio 2021 rende necessario uno scostamento di bilancio che sarà richiesto al Parlamento”. La seconda ondata ha cambiato l’intero scenario, il governo rifà i conti, le precedenti previsioni erano troppo ottimistiche, il prodotto lordo non recupererà il livello del 2019 nemmeno l’anno prossimo. Sarà lo stesso in gran parte dei paesi europei, mentre da Bruxelles arrivano segnali preoccupanti perché i sovranisti di Visegrád puntano i piedi sul bilancio dell’Unione. Le bizze di Polonia e Ungheria probabilmente verranno ricomposte da Angela Merkel, ma intanto il piano per la ripresa rallenta. Non resta che ampliare il deficit, sperando che la Bce allarghi ancor più i cordoni della borsa, intanto si fa strada l’illusione che i debiti contratti per combattere la pandemia possano essere cancellati. Lo ha proposto persino il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. “Tirare un tratto di penna significa monetizzare il debito, ciò va contro i trattati e rimette in discussione l’indipendenza della banca centrale”, spiega al Foglio l’economista Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy. E c’è da chiedersi quanto sia politicamente opportuna un’uscita del genere da parte del presidente dell’Europarlamento.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha spiegato ieri che “il rallentamento dell’attività nel quarto trimestre e a inizio 2021 rende necessario uno scostamento di bilancio che sarà richiesto al Parlamento”. La seconda ondata ha cambiato l’intero scenario, il governo rifà i conti, le precedenti previsioni erano troppo ottimistiche, il prodotto lordo non recupererà il livello del 2019 nemmeno l’anno prossimo. Sarà lo stesso in gran parte dei paesi europei, mentre da Bruxelles arrivano segnali preoccupanti perché i sovranisti di Visegrád puntano i piedi sul bilancio dell’Unione. Le bizze di Polonia e Ungheria probabilmente verranno ricomposte da Angela Merkel, ma intanto il piano per la ripresa rallenta. Non resta che ampliare il deficit, sperando che la Bce allarghi ancor più i cordoni della borsa, intanto si fa strada l’illusione che i debiti contratti per combattere la pandemia possano essere cancellati. Lo ha proposto persino il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. “Tirare un tratto di penna significa monetizzare il debito, ciò va contro i trattati e rimette in discussione l’indipendenza della banca centrale”, spiega al Foglio l’economista Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy. E c’è da chiedersi quanto sia politicamente opportuna un’uscita del genere da parte del presidente dell’Europarlamento.

PUBBLICITÁ

 

Nel medio periodo, tuttavia, esiste il problema di consolidare una parte del debito dei paesi europei. Pensare di ridurlo soltanto con politiche fiscali non è realistico, nel caso italiano bisognerebbe accumulare per molti anni un avanzo di bilancio fuor di misura. Ci sono sul tavolo diverse proposte. Secondo Messori si può stipulare un patto con una istituzione della Ue come il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), per concordare un piano di rientro di 15-20 anni, al quale contribuisca direttamente il Mes coprendo la parte del debito oltre il 100 per cento del pil. Nessun paese può fare da solo e l’era del pasto gratis è lontana. Invece, è il momento di coordinare gli sforzi per attivare dalla prossima primavera i 1.800 miliardi di euro stanziati dall’Unione. L’Italia, il paese che riceverà di più, ha una responsabilità particolare, fino al punto che il successo del Next Generation Eu dipende in larga parte dalla credibilità del piano italiano. Lo scrive il paper che Messori ha scritto insieme a Marco Buti, capo di gabinetto di Paolo Gentiloni, commissario europeo per l’Economia. E’ la prima analisi compiuta sull’impatto che avrà la seconda ondata, ma soprattutto è un contributo importante per affrontare l’emergenza e nello stesso tempo preparare la ripresa. In questa direzione vanno le proposte del documento sia nella scelta degli interventi (non debbono essere a pioggia, ma concentrati in poche chiare scelte strategiche), sia nella governance.

PUBBLICITÁ

 

Buti e Messori parlano di una “cabina di regia politica non solo tecnica”, come quella europea composta dalla presidente dell’Unione, dai tre vice presidenti e dal commissario all’Economia; un chiaro segnale dell’importanza che la Commissione assegna alla più ambiziosa scelta strategica compiuta dal trattato di Maastricht in poi. Seguendo quello stesso modello, l’Italia chi dovrebbe mettere in campo? Conte, Gualtieri, Di Maio, forse Speranza? O magari chiamare al servizio della Repubblica un grand commis come Mario Draghi, l’unico italiano che abbia vera autorevolezza in Europa e sullo scacchiere internazionale? Buti e Messori si tengono fuori da qualsiasi speculazione, ma a pensar male per lo più ci si azzecca, anche se si fa peccato, secondo il vecchio adagio andreottiano. Coniugare emergenza e riforme richiede capacità propositiva, efficacia operativa e un vasto consenso, non sarà facile far lavorare insieme pubblico e privato, né affrontare l’impatto sociale dei cambiamenti che vanno avviati oggi, non in un incerto futuro (magari con il retropensiero che nulla cambierà mai). Su come mobilitare le risorse europee ci sono posizioni diverse, spiega Messori. Spagna e Portogallo pensano di utilizzare subito i trasferimenti a fondo perduto per sostenere gli investimenti, rinviando i prestiti a tempi migliori.

 

L’Italia invece vorrebbe coprire con i prestiti larga parte delle spese che sarebbero state comunque effettuate riservando i trasferimenti alle riforme e agli investimenti. La soluzione ottimale sarebbe concentrare ogni risorsa aggiuntiva su progetti innovativi, ma il paper propone un compromesso: “La spesa pubblica preesistente finanziata con i prestiti va strettamente collegata al piano di riforma”. Due esempi concreti per capire di che si tratta: il sostegno alle imprese e il sostegno ai redditi. La legge di bilancio rifinanzia Industria 4.0. Sembra un’efficace opportunità per sostituire con i prestiti un capitolo di spesa pubblica già previsto. Ma il Recovery fund dura fino al 2026 e non ha senso togliere dopo tre anni gli incentivi ad imprese che hanno avviato un processo di ristrutturazione di lungo periodo. Diverso è se si forniscono alle aziende i servizi dei quali hanno bisogno o si favorisce una offerta di lavoro che corrisponda alle nuove esigenze. Lo stesso vale per il reddito di cittadinanza che come è oggi ha fallito e va trasformato in uno strumento efficace di lotta alla povertà e di politica attiva del lavoro. E’ un schema che si applica alla Sanità (non basta assumere personale e ampliare gli ospedali, deve essere digitalizzata e riorganizzata), all’intera Pubblica amministrazione, alle infrastrutture (compresa la rete delle telecomunicazioni).

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Gestire insieme emergenza e riforme è l’unico modo di evitare la logica dei due tempi e non sprecare le risorse. Sapendo che dalla Ue non arriverà di più e che l’Italia dovrà “definire un quadro economico e fiscale in grado di garantire la sostenibilità di lungo termine del rapporto tra debito pubblico e prodotto lordo”, scrivono Buti e Messori. Altro che cancellare i debiti.

PUBBLICITÁ