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Southworkers

South working, come il lavoro a distanza si sposta al Mezzogiorno

Mariarosaria Marchesano

Con la pandemia almeno 45 mila persone lavorano dal sud per aziende del nord. Manager, professori, impiegati di banca. “E’ un nuovo modello”, dice Elena Militello che presiede l'associazione South working

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Il progetto di Elena Militello, 27 anni, è stabilirsi a Santo Stefano di Camastra in provincia di Messina, il paese dei suoi nonni, fare la spola con l’Università di Messina dove è stata appena assunta come ricercatrice, coltivare il rapporto con la Bocconi di Milano dove si è laureata in giurisprudenza ed è diventata academic fellow, e avere una carriera ricca di esperienze godendosi il mare a due passi e la vicinanza con la famiglia.

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Il progetto di Elena Militello, 27 anni, è stabilirsi a Santo Stefano di Camastra in provincia di Messina, il paese dei suoi nonni, fare la spola con l’Università di Messina dove è stata appena assunta come ricercatrice, coltivare il rapporto con la Bocconi di Milano dove si è laureata in giurisprudenza ed è diventata academic fellow, e avere una carriera ricca di esperienze godendosi il mare a due passi e la vicinanza con la famiglia.

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L’idea che tutto questo non solo sia fattibile per se stessa ma possa diventare un sistema di organizzazione del lavoro nel sud Italia le è balzata in mente quando nell’ultimo lockdown tanti ricercatori come lei, ma anche giovani manager, impiegati di banche-assicurazioni e tecnici informatici, sono tornati in regioni come Sicilia, Calabria, Puglia e Campania per svolgere le proprie mansioni a distanza per conto di università e aziende con sede al nord. “Quando c’è stata la chiusura a marzo mi sono ritrovata a lavorare a Santo Stefano di Camastra mentre avevo un contratto con l’Università del Lussemburgo. Mi sono subito domandata: perché non può diventare un nuovo modello per il paese?”, racconta Elena premettendo che “affinché una tale organizzazione diventi strutturale sono necessari investimenti in infrastrutture digitali, oltre che in spazi di lavoro in condivisione e trasporti locali rapidi da e per gli aeroporti”.

 

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Oggi Elena presiede l’Associazione South working, con l’aiuto di due vice presidenti, Mario Mirabile e Paolo Piacenti, anche loro southworkers, e di una cinquantina di volontari che ne diffondono la filosofia e le proposte sui social. In breve tempo l’associazione ha intessuto relazioni con comuni ed enti locali, ottenuto il sostegno dalla Fondazione per il Sud di Carlo Borgomeo e convinto la Svimez ad approfondire numeri e dinamiche. Sorprendenti i risultati preliminari: sono 45 mila gli addetti che dall’inizio della pandemia lavorano in smart working dal sud per le grandi imprese del centro-nord su un universo di 150 aziende di medio-grandi dimensioni interpellate che operano nei settori manufatturiero e dei servizi.

 

Una cifra sufficiente a riempire 100 treni dell’Alta velocità, fino a ieri solo per poche volte all’anno in occasione di festività estive o natalizie, in futuro molto più spesso per consentire gli spostamenti necessari a svolgere una parte del lavoro in presenza, magari incontri e riunioni periodiche. E il dato, secondo la Svimez, potrebbe essere addirittura sottostimato. Se si tiene conto, infatti, anche delle imprese piccole e medie, molto più difficili da rilevare, si stima che i southworkers potrebbero superare quota centomila su un totale di due milioni di occupati meridionali che lavorano al centro-nord. “L’idea che accomuna tutte le persone che stanno facendo quest’esperienza – dice Militello – è il desiderio di restituire qualcosa al posto in cui sei nato e in cui in tanti casi hai anche studiato. La presenza di case di famiglia al mare e in montagna non utilizzate aiuta a trovare collocazioni ideali per lavorare e senza costi aggiuntivi. Se questa organizzazione prendesse piede assisteremmo al ripopolamento di tante aree del sud, anche rurali e di piccoli paesini come quello dei miei nonni, con una ricaduta positiva nelle comunità locali senza nulla togliere alle aziende, come dimostrano tutti gli ultimi dati sull’incremento della produttività nel lavoro a distanza”.

 

In effetti, la maggior parte delle aziende intervistate nella ricerca Svimez ritiene che i vantaggi principali siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. E lo svuotamento delle grandi città, Milano per esempio? “Il south working – risponde Militello – è un concetto ampio, si può replicare su scala nazionale rispetto all’Europa, per esempio. Basti guardare la campagna che ha lanciato la Grecia che si propone come hub europeo per il lavoro a distanza. Perché non lo può fare anche l’Italia?”.

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