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Editoriali

Contro l’egoismo corporativo

Redazione

Aumentare i salari nel settore pubblico toglie risorse alle categorie meno protette

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I sindacati del pubblico impiego, cioè dei lavoratori più garantiti in una fase in cui tutti gli altri corrono pesanti rischi, minacciano fuoco e fiamme perché il governo non ha stanziato somme consistenti per aumentare i salari. Nei loro comunicati parlano di occupazione, di efficienza e di rinnovamento dei servizi pubblici, ma l’accento finisce sempre sulla questione contrattuale, cioè salariale.

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I sindacati del pubblico impiego, cioè dei lavoratori più garantiti in una fase in cui tutti gli altri corrono pesanti rischi, minacciano fuoco e fiamme perché il governo non ha stanziato somme consistenti per aumentare i salari. Nei loro comunicati parlano di occupazione, di efficienza e di rinnovamento dei servizi pubblici, ma l’accento finisce sempre sulla questione contrattuale, cioè salariale.

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Si può forse capire un atteggiamento di questo genere da parte dei sindacati autonomi, abituati a una visione settoriale e corporativa (comprensibile ma comunque inaccettabile in una situazione straordinaria come quella attuale) ma è del tutto incomprensibile la durezza dei sindacati che aderiscono alle confederazioni, che dovrebbero avere come linea guida l’interesse dell’insieme dei lavoratori, da declinare poi secondo le caratteristiche specifiche delle categorie rappresentate. Invece prevale una concezione che è persino generoso definire egoistica: dove ci sono le condizioni, i cosiddetti “rapporti di forza” favorevoli, bisogna approfittarne, senza alcuna considerazione per le conseguenze.

 

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Tutti sanno che la condizione della spesa pubblica è già al limite e oltre il limite della sostenibilità: chiedere altro denaro per chi già è garantito vuol dire farlo pagare, prima o poi, agli altri. Naturalmente, le confederazioni lo sanno benissimo, ma invece di intervenire per evitare tensioni in questa fase – basta leggere le dichiarazioni del segretario della Cgil Maurizio Landini – spingono verso le agitazioni, secondo l’idea del tutto infondata che se si “sfonda” in un settore si creano condizioni più favorevoli anche per gli altri. In realtà è vero l’esatto contrario: garantire di più i già garantiti vuol dire ridurre le risorse che servono ad aiutare quelli che subiscono le conseguenze più pesanti della crisi sanitaria. Far finta di non saperlo per proseguire in un’azione di lotta ingiustificata è peggio che ipocrisia e non è escluso che siano proprio i lavoratori a farlo capire ai sindacati.    

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