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Un vaccino contro i pregiudizi

Stefano Cingolani

Il caso Pfizer dimostra che per raggiungere risultati bisogna sciogliere le briglie a scienziati e imprenditori

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Due turchi, scienziati e imprenditori, Uğgur Sahin e la moglie Özlem Türeci, sono i fondatori di BioNtech, partner del colloso a stelle e strisce Pfizer. Un armeno di Beirut, Noubar Afeyan, inventore e capitalista di ventura, uno statunitense che viene dall’estremo oriente, Kenneth Chien, già direttore del prestigioso Karolinska Institute di Stoccolma, un italo canadese, Derrick Rossi, sono gli uomini dietro Moderna, la società che lavora insieme ad Anthony Fauci. E poi inglesi, italiani, francesi, greci come Albert Bourla, nato a Salonicco che guida la Pfizer, ma anche cinesi e russi; scienziati, manager, finanziatori di Glaxo, Sanofi, Astra Zeneca, dei laboratori di Castel Romano (Reithera) e Pomezia (IRBM).

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Due turchi, scienziati e imprenditori, Uğgur Sahin e la moglie Özlem Türeci, sono i fondatori di BioNtech, partner del colloso a stelle e strisce Pfizer. Un armeno di Beirut, Noubar Afeyan, inventore e capitalista di ventura, uno statunitense che viene dall’estremo oriente, Kenneth Chien, già direttore del prestigioso Karolinska Institute di Stoccolma, un italo canadese, Derrick Rossi, sono gli uomini dietro Moderna, la società che lavora insieme ad Anthony Fauci. E poi inglesi, italiani, francesi, greci come Albert Bourla, nato a Salonicco che guida la Pfizer, ma anche cinesi e russi; scienziati, manager, finanziatori di Glaxo, Sanofi, Astra Zeneca, dei laboratori di Castel Romano (Reithera) e Pomezia (IRBM).

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È il melting pot nel quale ribolle la pozione che dovrà uccidere la pandemia. Non ha nulla di magico, è il distillato di ispirazione e traspirazione (in proporzione del 10 per cento e del 90 per cento secondo la battuta attribuita ad Albert Einstein). C’è l’ingegno, c’è il rischio, c’è il capitale e c’è il lavoro, ci sono le macchine, c’è la tecnica tanto demonizzata dal pensiero debole, ci sono le fabbriche, c’è l’industria. È la globalizzazione, è il capitalismo. È Big Pharma, sempre identificata con un pugno di giganti multinazionali mentre si tratta di una filiera complessa che dall’università arriva fino al banco del farmacista.

 

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Tratteniamo tutti il fiato, speriamo e disperatamente vogliamo che la grande corsa verso la salvezza medica giunga alla meta e distrugga il maledetto virus, nell’attesa possiamo dire che il vaccino può già raggiungere un risultato non da poco: immunizzarci contro microbi malevoli e distruttori chiamati pregiudizi. Non tutti vogliono essere protetti, esistono anche i No Vax culturali, senz’altro i più pericolosi. E non tutti reagiscono: c’è chi si mostra refrattario come l’europarlamentare leghista Francesca Donato, che all’annuncio della Pfizer ha dichiarato che si tratta di un vaccino tedesco.

 

È vero, il vaccino nasce a Magonza, nei laboratori di un’azienda tedesca; la stessa partnership con Pfizer è stata possibile grazie ai rapporti con la scienziata tedesca Kathryn Jansen che guida il dipartimento di Virologico della conglomerata americana. E con ciò? Meglio soccombere al Sars Covid-2 piuttosto che accettare qualcosa che abbia a che fare con la Germania? Pardon con Angela Merkel, perché se alla cancelleria di Berlino sedesse un sovranista con l’elmetto chiodato allora sarebbe tutta un’altra storia. Il nonsense diventa sublime quando si mescola con la subpolitica del tweet. Ma torniamo al grande calderone dove si fondono scienza e industria.

 

“Quante ne combina ’sto libero mercato”, sospira ironizzando Alessandro De Nicola, della Adam Smith society. La Pfizer la conosciamo e non è solo quella del Viagra. I suoi settori strategici sono cardiologia, sistema nervoso centrale, malattie infettive, respiratorie, urologiche e oftalmiche; da qui viene il 96,7 per cento dei ricavi, il resto è generato dal settore oncologico. Nella sua storia più che centenaria (è stata fondata a Brooklyn nel 1849 da due immigrati tedeschi Charles Pfizer e Charles Erhardt) è diventata la numero uno al mondo con un fatturato di circa 60 miliardi di dollari.

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Ha la più grande organizzazione di ricerca e sviluppo, è cresciuta molto anche grazie a fusioni e acquisizioni (tra le altre la svedese Pharmacia che nel 1993 aveva assorbito la Carlo Erba, per poi essere a sua volta acquistata dalla Upjohn due anni dopo). Non si è sottratta nemmeno a scandali e truffe come quella nei confronti della sanità americana, commercializzando quattro farmaci senza autorizzazione. È una public company, una compagnia senza un padrone o meglio con molti padroni, tutti quelli che comprano le sue azioni sul mercato.

 

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Il pacchetto principale è in mano al bulimico fondo BlackRock, chi comanda è l’amministratore delegato Albert Bourla. Meno nota, finora, la storia di BioNTech. La partnership che ha prodotto il vaccino, il primo ad aver superato, a quel che sembra, la fase tre, è nata da una relazione personale e in qualche modo nazionale. Il dottor SŞahin infatti conosceva la dottoressa Jansen, capo della ricerca e dello sviluppo dei vaccini del colosso americano. I due si sono incontrati nel 2017 a New York nel quartier generale della Pfizer per discutere su una possibile collaborazione. ŞSahin si era spinto molto avanti nei suoi studi nei quali era specializzato da ormai 25 anni insieme alla moglie, conosciuta mentre entrambi lavoravano in una clinica oncologica.

 

Si tratta di un progetto assai promettente basato sul Rna messaggero, vettore molecolare che trasmette alle cellule istruzioni per sviluppare proteine in grado di provocare una risposta immunitaria. La coppia di ricercatori fonda una società, Ganymed Pharmaceutical, che ottiene notevole successo. Nel 2016 la vendono ricavando 1,6 miliardi di euro e si concentrano nella lotta ai virus con il messaggero Rna. Un anno dopo sono pronti a produrre un vaccino contro l’influenza, però hanno bisogno di un partner in grado di produrlo e distribuirlo in quantità massicce. SŞahin convince Kathrin Jansen e nell’agosto 2018 firma l’accordo con Pfizer.

 

 

 

Ma l’autorizzazione delle autorità sanitarie americane prende una via traversa. A gennaio lo scienziato imprenditore, deluso e un po’ scoraggiato, è ancora in attesa quando legge le prime notizie che arrivano dallo Hunan. E decide di puntare dritto al nuovo micidiale virus, il Sars-CoV-2. Stringe un accordo con la Fusan Pharmaceutical di Shanghai per cominciare i primi test in Cina e quando ha in mano i primi risultati attendibili, mette in campo la Pfizer. Val la pena dilungarsi sulla genesi del vaccino BioNTech-Pfizer per capire come funziona questa complessa macchina mondiale.

 

L’azienda innovativa o magari il piccolo laboratorio dal quale tutto parte, lo scambio internazionale di informazioni, il grande gruppo globale: Moderna lavora nello stesso campo, la manipolazione dell’Rna messaggero e ha seguito lo stesso paradigma. Nasce nel 2010 per commercializzare le ricerche di Derrick Rossi sulle cellule staminali. Laureato a Toronto, dottorato a Helsinki e a Stanford, docente a Harvard, anche Rossi viene da una famiglia di classe operaia (il padre Fred ha lavorato per 50 anni come carrozziere). Una volta verificato che il suo metodo per modificare l’Rna funziona si rivolge a Tim Springer, un collega di Harvard che lo introduce a Kenneth Chien e alla Flagship Ventures di Noubar Afeyan; questi crede nel progetto e diventa il principale azionista della nuova società.

 

Le applicazioni del metodo Rossi sono ampie, dalle malattie renali alle deficienze cardiovascolari. Nel 2011 entra come amministratore delegato il francese Stéphane Bancel, tre anni dopo Moderna comincia a concentrarsi con successo sui vaccini e matura la rottura con Rossi, che prende una sua strada scientifica e imprenditoriale mentre l’azienda continua a crescere (oggi è valutata 30 miliardi di dollari), collabora con Astra Zeneca e con l’istituto nazionale per le malattie infettive guidato da Anthony Fauci. Con l’irrompere del Sars-CoV-2, Bancel concentra gli sforzi nella ricerca del vaccino.

 

A marzo, in un meeting con l’Amministrazione Trump annuncia che sarà pronto tra pochi mesi. Ora sembra battuto sul filo di lana da Pfizer, ma Fauci punta su Moderna, anche se la corsa è ormai affollata di partecipanti. A che punto è arrivata la gigantesca competizione? Ci sono quasi 200 vaccini candidati a combattere il coronavirus, secondo il rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità; 47 sono in fase di valutazione clinica, ma solo una decina sono arrivati alla fase sperimentale numero 3.

 

Pfizer e Moderna sono i più vicini alla meta anche se il vaccino ottenuto con il metodo mRna, che dal punto di vista medico ha notevoli vantaggi, richiede enormi sforzi organizzativi e investimenti logistici, visto che deve essere conservato a 60 gradi sotto zero. Per Astra Zeneca che lavora con l’università di Oxford e l’italiana Irbm, i risultati della fase 3 dovrebbero arrivare nelle prossime settimane ed entro gennaio 2021 l’azienda farmaceutica inizierà la commercializzazione. Josep Baselga, vicepresidente esecutivo per la ricerca e sviluppo in Oncologia ha annunciato che si potranno avere già circa tre miliardi di dosi.

 

Johnson & Johnson, invece, è stata costretta a sospendere la sperimentazione del vaccino Janssen anti Covid-19. Uno dei partecipanti allo studio si è ammalato in maniera “inspiegabile”, si legge sul sito della casa farmaceutica. Tra i vaccini in fase sperimentale 3 ci sono anche quelli cinesi: uno realizzato da Cansino Biologics, due da Sinopharm, uno da Sinovac. Quest’ultimo è in fase molto avanzata: per qualche giorno il Brasile aveva sospeso la sperimentazione per una morte, che però non aveva nessun legame con il vaccino.

 

Sinopharm ha ottenuto dalle autorità di Pechino il via libera per un uso emergenziale del proprio farmaco, ma (almeno per ora) non bisogna tenerne conto perché riservato alla Cina. Lo stesso vale per lo Sputnik russo che non verrà commercializzato nell’Europa occidentale. In ogni caso non è arrivato alla fase 3. Anche se la scienza non ha confini, c’è senza dubbio un retroterra ideologico-politico dietro la produzione del vaccino. La Cina ha goduto di intensi scambi con l’occidente, si pensi solo agli investimenti americani e francesi nei laboratori di Wuhan dove, secondo una convinzione ormai radicata tra dietrologi e complottisti, sarebbe nato il Sars-CoV-2 e poi magari sfuggito più o meno accidentalmente.

 

 

 

Tuttavia Pechino e Mosca hanno trasformato la corsa in una ricerca del primato; e il variegato mondo sovranista abbocca. Il vaccino russo è efficace al 92 per cento, proclamano al Cremlino, ben due punti percentuali in più di quello americano. Sembra la conquista dello spazio e non è stato chiamato Sputnik per caso. Vincenzo Trani, presidente della camera di commercio italo-russa, ha fatto da cavia il 6 novembre e ora dichiara: “Sto benissimo, cosa aspetta il governo italiano ad acquistarlo?”. Trani vive in Russia da vent’anni e solleva il grande dubbio: perché Sputnik V è stato sostanzialmente ignorato dai governi europei?

 

Ci sono ragioni di carattere scientifico oppure a pesare sono alleanze geopolitiche, accordi commerciali e interessi economici particolari? Sponsor d’eccezione del vaccino russo è Andrey Guryev jr., 38 anni, che con il padre omonimo è il mecenate del culto di San Nicola a Bari per i fedeli dell’Europa orientale. A capo di un impero da 4,7 miliardi di dollari fondato sui fertilizzanti dell’industria PhosAgro (sono al 437° posto nella lista dei più ricchi del pianeta secondo Forbes), in un’intervista a un quotidiano indiano dà notizia che anche suo padre è stato vaccinato.

 

Guryev è il primo magnate russo ad aver propagandato il farmaco anti-coronavirus dei laboratori Gamaleya di Mosca, per il quale il presidente e amico Vladimir Putin ha scelto il nome della missione spaziale con la quale 60 anni fa l’Unione Sovietica lanciò in orbita e fece tornare sulla Terra sani e salvi due cani, 42 topi e piante. L’India è uno dei paesi ai quali la Russia vuol vendere il vaccino. “Non ho avuto sintomi e ho già sviluppato alti livelli di anticorpi”, ha dichiarato, scrive la Gazzetta del Mezzogiorno.

 

Intanto si sparge la notizia che le dosi non bastano, se ne possono produrre centinaia di migliaia non i milioni promessi. “Di solito ci vuole un anno per avviare una produzione su questa scala e qui stiamo cercando di farcela in poche settimane”, ha detto Anton Gopka, socio generale della società di investimenti biotecnologici e sanitari Atem Capital. Intanto il Times di Londra informa che la macchina della disinformatia macina fake news contro il vaccino anglo-italiano, soprattutto in Brasile, negli Emirati arabi, in India: insomma nei potenziali clienti.

 

Panzane che vanno dalla trasformazione degli uomini in scimmie fino a più sofisticate manipolazioni. Tutto questo s’inserisce nello scontro tra Mosca e Londra, tuttavia, come ha sottolineato il direttore dell’MI5, i servizi britannici per la sicurezza interna, “il premio globale di avere il primo vaccino utilizzabile è grande”. Dunque, bisognerebbe immunizzarci anche contro la nuova Guerra fredda.

 

No global, negazionisti, anti capitalisti, nazional-populisti, a loro si uniscono le schiere che da sinistra attaccano le aziende che vogliono comunque stabilire un prezzo per i vaccini, basato sul costo della ricerca e della produzione, anche se poi verranno comperati dai governi nazionali o da istituzioni sovranazionali. Oxfam ha attaccato per questo la Pfizer, che pure si vanta di non aver chiesto soldi al governo americano e ha finanziato tutto con risorse proprie, smentendo il vicepresidente ancora in carica Mike Pence il quale ha subito cercato di mettere il cappello sull’annuncio della casa farmaceutica. Non è il vaccino Trump.

 

Dice Bourla: “Abbiamo imparato anche il valore e il potere della scienza, durante la pandemia. Abbiamo imparato ad apprezzare l’importanza degli investimenti nella scienza. E anche l’ importanza dell’iniziativa privata. Perché non credo che un’entità pubblica avrebbe potuto muoversi con le risorse e la flessibilità del settore privato”. Solo superando gli steccati e abbattendo i muri sarà possibile difenderci dalle tragedie collettive. Ma per raggiungere risultati e cooperare bisogna sciogliere le briglie agli scienziati, agli innovatori, agli imprenditori, a chi si prende il rischio e non ha paura di perseguire un vantaggio privato (sia esso il profitto, la fama, il premio Nobel) che si trasforma in vantaggio comune.

 

E se grattiamo sotto la superficie scopriamo che è così anche là dove il velo autoritario cerca di mascherare la realtà, perché il vaccino non esce dagli uffici del Cremlino né dalla Grande sala del popolo di Pechino. Non si sfugge alla legge bronzea di un mercato capace di assumere mille facce. La nostra immagine del capitalismo è ancora un dagherrotipo ottocentesco, mentre nella sua essenza è un film sempre in movimento, spesso veloce come il cinema di Buster Keaton o come i tempi lunghi di Martin Scorsese e Sergio Leone.

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