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“Bonus mobilità”, quando le tasse dei poveri sussidiano le élite delle Ztl

Perché le emissioni di CO2 di un cumenda milanese, o il suo diritto a evitare bus affollati, valgono di più delle analoghe esigenze di chi vive nei borghi?

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Il sito del ministero dell'Ambiente è subito andato in crash perché è stato usato l'incivile metodo del click day. Ma il "buono" per monopattini e bici elettriche ha anche un grande problema redistributivo

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Questo mattina, milioni di italiani che avevano acquistato o intendevano acquistare monopattini elettrici o bici a pedalata assistita si sono messi in coda sul sito del ministero dell’Ambiente per reclamare il “buono mobilità”. Come da copione, il portale è subito andato in crash anche perché è stato usato il solito, incivile, metodo del click day: siccome le risorse sono scarse, 210 milioni di euro, si applica il principio “fino a esaurimento scorte (di soldi)”. Al di là degli aspetti procedurali, il "bonus mobilità" ha suscitato un dibattito nel paese. Molti l’hanno assunto come esempio lampante della schizofrenia del governo che, in una crisi drammatica, in cui milioni di imprese sono al collasso, ha scelto di distribuire sussidi senza criteri discernibili. Altri hanno sottolineato l’importanza della micromobilità: per esempio, Enrico Giovannini ha usato parole lusinghiere per il bonus che ha incoraggiato l’acquisto di questi nuovi mezzi che contribuiscono a decongestionare i mezzi pubblici e ridurre le emissioni.

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Questo mattina, milioni di italiani che avevano acquistato o intendevano acquistare monopattini elettrici o bici a pedalata assistita si sono messi in coda sul sito del ministero dell’Ambiente per reclamare il “buono mobilità”. Come da copione, il portale è subito andato in crash anche perché è stato usato il solito, incivile, metodo del click day: siccome le risorse sono scarse, 210 milioni di euro, si applica il principio “fino a esaurimento scorte (di soldi)”. Al di là degli aspetti procedurali, il "bonus mobilità" ha suscitato un dibattito nel paese. Molti l’hanno assunto come esempio lampante della schizofrenia del governo che, in una crisi drammatica, in cui milioni di imprese sono al collasso, ha scelto di distribuire sussidi senza criteri discernibili. Altri hanno sottolineato l’importanza della micromobilità: per esempio, Enrico Giovannini ha usato parole lusinghiere per il bonus che ha incoraggiato l’acquisto di questi nuovi mezzi che contribuiscono a decongestionare i mezzi pubblici e ridurre le emissioni.

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C’è un problema: qualunque misura di incentivo produce un duplice effetto, redistributivo e allocativo. Da un lato, si traduce in uno sconto a vantaggio di chi quel prodotto l’avrebbe acquistato comunque. Dall’altro, al margine induce l’acquisto del bene da parte di persone che non sarebbero state interessate a un costo superiore. L’incentivo funziona se il secondo effetto prevale sul primo. Inoltre, bisogna prestare attenzione all’identità dei beneficiari: poiché l’incentivo è finanziato dalle tasse di tutti gli italiani, se va perlopiù a favore di persone dal reddito medio-alto coincide con un trasferimento implicito dai “poveri” ai “ricchi”. Ebbene, cosa possiamo dire del bonus mobilità?

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E’ lecito supporre che – dato il costo relativamente elevato di monopattini e bici a pedalata assistita – siano soprattutto i benestanti ad acquistarli e, dunque, a godere del bonus. Il buono copre fino al 60% della spesa, fino a un massimo di 500 euro: una rapida ricerca online mostra che i prezzi dei monopattini vanno dai 200 euro circa in su, quelli delle bici si spingono ben oltre i 1.500 euro. Inoltre, nel disegno della policy c’è un particolare curioso: il bonus è riservato solo ai residenti nei capoluoghi di regione (anche sotto i 50 mila abitanti), nei capoluoghi di provincia (anche sotto i 50 mila abitanti), nei comuni superiori a 50 mila abitanti e nei comuni delle città metropolitane (anche al di sotto dei 50 mila abitanti). In pratica, esclude totalmente tutti i residenti nei piccoli comuni e nelle aree interne. Parliamo di una quota sostanziale di italiani: secondo l’Istat, il 46% della popolazione risiede in comuni inferiori a 20 mila abitanti, sicuramente esclusi (tranne quelli appartenenti alle città metropolitane), e poco meno del 23% si trova nella fascia 20-60 mila abitanti. Non è dunque esagerato stimare che all’incirca la metà sia automaticamente tagliata fuori. Sappiamo, inoltre, che il reddito medio nelle città più grandi è superiore a quello dei centri più piccoli, e che le prime si trovano soprattutto nel centro-nord. Il bonus mobilità è quindi disegnato su misura delle borghesie urbane (le famose ztl) e non solo penalizza de facto, ma addirittura lascia a piedi de jure i residenti nelle aree interne e nei piccoli comuni. Il provvedimento ha una finalità ambientale ed è stato giustificato anche con l’esigenza di promuovere la micromobilità sostenibile: non è chiaro perché le emissioni di CO2 di un cumenda milanese, o il suo diritto a evitare bus affollati, debbano valere di più delle analoghe esigenze di chi si ostina a vivere nei borghi.

 

Forse i ministri dell’Ambiente, il napoletano Sergio Costa, e del Mezzogiorno, il nisseno Peppe Provenzano, dovrebbero dare una risposta a quella metà malcontata di italiani che, pur pagando le tasse, non viene ritenuta degna di cavalcare un monopattino. Ovviamente delle risposte le meritrerebbe anche la restante metà della popolazione che, pur avendo diritto al bonus, è rimasta inchiodata a un sito bloccato per una giornata intera senza riuscire a capire se questo privilegio sia esigibile o meno.  Come se non bastasse, il tilt del sistema dello Spid ha causato disagi anche a tutti quelli che ne avevano bisogno per altre finalità. Dopo il crash del sito dell’Inps, è l’ennesima prova di inefficienza dello Stato imprenditore made in Italy che pretende di guidare le grandi trasformazioni tecnologiche ma non riesce a far funzionare un sito. Al momento l’unica grande innovazione è la coda digitale al posto di quella analogica.

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